Sul diritto di riunionedi Alessandra Algostino Professoressa ordinaria di Diritto costituzionale, Dipartimento di Giurisprudenza - Università di Torino
28 Maggio 2021
La libertà di riunione è essenziale in una democrazia, consente l’espressione, in forma pubblica e collettiva, della manifestazione del pensiero, garantisce il “diritto di protesta”, ovvero quel dissenso che di una democrazia costituisce elemento imprescindibile e necessario (Bobbio).
La Costituzione, all’art. 17, si premura di garantirla in senso ampio, limitandosi a stabilire che sia pacifica e senz’armi. L’unico adempimento che viene previsto, per le riunioni in luogo pubblico (una via, una piazza), è la previa comunicazione all’autorità di pubblica sicurezza almeno tre giorni prima dello svolgimento della riunione. La Costituzione è chiara: la libertà di riunione è un diritto non una concessione; in questa prospettiva si ragiona semplicemente di obbligo di preavviso e quest’ultimo è da intendersi come comunicazione e non come una richiesta di autorizzazione.
Non possono essere addotte ragioni generiche di ordine pubblico o, in presenza dello stato di emergenza sanitaria, di prevenzione dal contagio; quest’ultimo può motivare, come risulta anche dalla normativa relativa al Covid-19, solo la richiesta di osservare le misure di distanziamento e di contenimento previste (condizioni proporzionate e ragionevoli alla luce della presenza dell’epidemia).
Per una precisazione sul tema, è utile citare alcuni passaggi di una sentenza del TAR Lazio: dato che «l’esercizio della libertà di riunione… non richiede alcuna preventiva autorizzazione dell’autorità di pubblica sicurezza, ma il solo preavviso», «un provvedimento amministrativo che intenda disciplinare ex ante le modalità di svolgimento delle riunioni in luogo pubblico, comprimendo incisivamente la libertà di formazione dei cortei, si presenta già di per sé illegittimo» (1). Si integra «evidentemente» una violazione dell’art. 17 Cost. quando si «tende a sostituire al regime costituzionale di tendenziale libertà un regime amministrativo in cui alla valutazione da compiere “a valle” circa la eventuale sussistenza di comprovati motivi che giustificano il divieto, subentra una valutazione compiuta “a monte” di incompatibilità tout court di determinate modalità di svolgimento delle riunioni in luogo pubblico» (2). Il giudice amministrativo del Lazio ricorda, inoltre, come, in caso di divieto, «occorre fornire una indicazione particolarmente rigorosa e coerente dei presupposti a base della determinazione adottata» (3) , in relazione alla singola manifestazione. (1) TAR Lazio, sez. I, sent. n. 01432 del 2012 (similmente, cfr. anche sent. n. 01433 del 2012), nelle motivazioni dell’annullamento delle ordinanze (17 ottobre 2011 e 18 novembre 2011) con cui il sindaco di Roma disponeva che le manifestazioni pubbliche potessero tenersi solo in forma statica in alcune aree predeterminate e/o svolgendosi in determinati giorni e seguendo gli itinerari previsti nell’ordinanza. |