Il “sistema” creato nel ’91 oggi rinasce per salvare i colossidi Carlo Di Foggia da Il Fatto Quotidiano del 16-03-2021
Del sistema dell’Alta velocità ferroviaria, quella del “Terzo Valico” è la storia più emblematica. Serve studiarla per capire perché, trent’anni dopo, siamo alle porte di una nuova stagione di grandi investimenti nel settore, stavolta inseriti nel Recovery Plan.
Nessuno ha mai creduto che quei 52 km di binari servissero a qualcosa. Nel 2014, l’ad delle Ferrovie Mauro Moretti, committente dell’opera, lo disse proprio: “Da Genova a Milano è giusto che le merci vadano in camion. In nessun Paese per fare 150 chilometri si va con le ferrovie”. I 6,2 miliardi stanziati dal governo Monti nel 2011 servono per arrivare fino a Tortona (Alessandria); per Milano mancano altri 100 km. Se va bene serviranno 20 miliardi per un’opera inutile che però ha il vantaggio di essere affidata al consorzio Cociv guidato da Salini-Impregilo (oggi Webuild) e Condotte, due dei colossi più amati dai politici.
Nelle carte dell’inchiesta genovese la storia è ben illustrata. L’operazione Alta Velocità è iniziata nell’agosto 1991 su due assi: orizzontale (Torino-Venezia) e verticale (Milano-Napoli); il terzo valico fu aggiunto dopo. Un’idea di Raul Gardini, fresco della tangentona Enimont, che pretese la linea Milano-Genova per tirare dentro la Montedison, tenuta fuori dalla spartizione che ha salvato il mercato degli appalti dopo il crollo per le inchieste di Mani pulite.
Il gran capo delle FS, Lorenzo Necci, e il ras delle grandi opere Ercole Incalza (imputato nell’inchiesta genovese) escogitano il meccanismo che si rivelerà provvidenziale: il grande appalto per l’Av senza gara ai tre general contractor (Iri, Eni, Fiat). Incalza si vantò di aver trovato il sistema perfetto: prezzo bloccato e zero contenziosi. Le concessioni con Tav Spa, la controllata Fs (che Incalza nel ‘91 andò subito a dirigere lasciando il ministero) prevedevano che il 60% del finanziamento fosse a carico dei privati. Nel ‘94 i costi erano già saliti del 34%: lo Stato si accollò oltre 90 miliardi. Fu la “grande abbuffata” raccontata da Ivan Cicconi nel Libro nero dell’Alta velocità.
L’affare partì un attimo prima dell’entrata in vigore dell’obbligo europeo di fare le gare. I pm genovesi ricordano i meccanismi con cui per oltre 20 anni si è tutelato il sistema. Alla fine del 2000, per dire, l’allora ministro Pier Luigi Bersani impose l’obbligo di gara con annesso scioglimento dei contratti. Qualche mese dopo, tornato Berlusconi a Palazzo Chigi, il ministro Pietro Lunardi e il suo capo segreteria Incalza si inventarono la “Legge obiettivo” che sottrae l’Alta velocità alle gare. Il general contractor diviene affidatario e costruttore dell’opera: si sceglie perfino il direttore dei lavori, zero controlli. Risultato: i costi esploderanno. Nel 2007 il governo Prodi prova di nuovo a reinserire l’obbligo di gara, che però ri-salta nel 2008 col ritorno dell’ex Cav.
Oggi il problema si ripete. I grandi costruttori sono alla canna del gas. Grazie ai soldi di Cdp, Salini-Impregilo è stata messa in sicurezza creando WeBuild. Insieme, però, i nostri primi 20 gruppi non fanno il fatturato del gigante francese Vinci. E così nel Recovery Plan il capitolo “Alta velocità” è cresciuto a 15 miliardi: c’è la Palermo-Catania, la Napoli-Bari, la Salerno-Reggio Calabria, la Brescia-Verona-Vicenza, il Terzo Valico, eccetera… I soldi devono essere spesi entro il 2026: nei primi due anni la spesa è di 2,2 miliardi, ma si accelera negli ultimi tre (4,4 miliardi nel 2026). Alcune linee, come la Napoli-Bari, sono a buon punto, altre per nulla. Nei documenti si parla di progettazioni e bandi e si promettono 500 km di nuovi binari in 6 anni. Un crono-programma ardito che però può bastare a gonfiare il portafoglio ordini dei gruppi, WeBuild in testa. Solo l’Alta velocità in Sicilia vale l’enormità di 20 miliardi, spesa di cui il Ponte sullo Stretto è il prerequisito, per così dire, ideologico. Magari è un caso, ma da mesi è ripartito il tam tam sulla grande opera, ovviamente da fare col “modello Genova”. Entrambi, guarda caso, cari a WeBuild. |