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La mobilità al tempo del covid: merci e aree urbane, non il Tav

La pendolarità diminuirà, così come il traffico aereo e ferroviario di lunga distanza. Lo Stato punti a ridurre la congestione nelle città e rendere meno inquinante il parco auto

 

di Marco Ponti da Il Fatto Quotidiano del 18-01-2021

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/01/18/la-mobilita-al-tempo-del-covid-merci-e-aree-urbane-non-il-tav/6069037/

 

Dopo questa pandemia, anche la mobilità e i trasporti non torneranno, nel bene e nel male, come prima. Iniziamo dalla domanda di trasporto, cioè cosa cambierà nelle esigenze di mobilità delle persone e delle merci. Sembra sicuro che il lavoro da casa (“smartworking”) in parte rimarrà. Infatti è connesso da un lato con la crescente “informatizzazione” di molte attività, che è in sé un bene, in parte con i risparmi di tempo e di costi per i viaggi dei lavoratori.

 

Ciò comporterà che, poichè le case all’esterno delle città costano meno proprio perché “scomode” per andare al lavoro, vi sarà una spinta al decentramento urbano, non più “frenato” dai disagi della pendolarità (questo è un bene assoluto: a perderci, è solo la rendita immobiliare). Comporterà anche minor domanda di trasporto pubblico, perché si sommerà a un po’ di diffidenza verso situazioni di relativo affollamento che i trasporti pubblici comportano. Anche l’inquinamento e la congestione nelle città maggiori si ridurranno.

 

Per le merci continuerà a crescere il valore aggiunto di quelle trasportate, cioè a diminuire la rilevanza dei costi di trasporto rispetto ad altri costi di produzione. Anche il commercio via web, di cui Amazon è il maggior rappresentante, è destinato a crescere, a causa dei bassi prezzi, della vasta scelta e della rapidità di consegna (qui alcuni problemi sono noti: pagano poche tasse e fanno sparire i piccoli negozi). Ma è certo che questo tipo di commercio diminuirà il traffico automobilistico: un furgone in un giro di consegne percorre senz’altro meno km di tanti viaggi in macchina individuali necessari ad acquistare la stessa quantità di merci.

 

Poi la paura dei contagi e l’abitudine alle riunioni “in remoto” colpiranno la domanda di viaggi per turismo e “business”, entrambi fattori essenziali per il trasporto aereo e ferroviario di lunga distanza (soprattutto per l’Alta Velocità). Meno domanda dunque, almeno per alcune tipologie di trasporto. L’offerta dovrà adeguarsi, ma nel complesso le luci sembrano prevalere sulle ombre: meno costi privati ed ambientali. Ma l’offerta dovrà adeguarsi anche per far fronte a palesi inefficienze del sistema.

 

Innanzitutto le prospettive di minor domanda di viaggi a lunga distanza rendono ancora più vistosamente inutili opere infrastrutturali, su cui già vi erano seri dubbi, a causa di una domanda insufficiente a giustificarne i costi e i ridotti benefici ambientali. Anche il calo demografico, specie al Sud, suggerisce prudenza. Poi è difficile dubitare che il sistema ferroviario, che serve una piccola frazione della domanda totale (nonostante l’altissima tassazione sul modo stradale), costi troppo alle casse pubbliche: più di 10 miliardi netti all’anno.

 

Ma l’altro grande sistema, quello stradale, che rende circa 40 miliardi netti allo Stato all’anno, ha problemi di manutenzione, e anche di gestione della componente autostradale: il ricorso a concessioni ha dato pessima prova. Anche qui sia per inadeguata manutenzione, con conseguenze drammatiche (dove ha pesato l’insufficienza di controlli pubblici), che di tariffe assurdamente elevate. Gli utenti hanno pagato più volte le infrastrutture, con danni economici e di efficienza (le rendite sono anche inefficienti, oltre che inique).

 

Il settore aereo è stato molto colpito, e forse la domanda rimarrà debole. Ma dovrà anche ridurre il proprio impatto ambientale, assai elevato per passeggero trasportato: i combustibili fossili che usa non sono tassati. Questo al contrario del sistema stradale, che internalizza per via fiscale gran parte dei costi ambientali che genera.

 

E a motivo della tassazione sui carburanti e degli standard europei sulle emissioni, il settore presenterà un parco veicolare sempre meno inquinante. Di questo le politiche pubbliche dovranno tener conto, accelerando tale evoluzione con azioni di supporto, che certo, costano allo Stato (per unità di emissioni ambientali abbattute), molto meno di politiche scarsamente efficaci, come si è dimostrata la “cura del ferro”.

 

Non si può poi dimenticare che all’orizzonte rimane, anche se rallentata, la radicale rivoluzione della guida autonoma, che potrà ridurre grandemente sia la necessità di veicoli in proprietà privata, che la domanda di mezzi pubblici tradizionali, con servizi di taxi elettrici e senza conducente, iper-economici e quindi universali.

 

Se dovremo porci obiettivi di crescita economica nell’uso dei fondi europei occorrerà selezionare con cura su quali settori puntare: il calo relativo della domanda e la crescente “immaterialità” del progresso tecnico non sembrano certo indicare nei trasporti un settore da privilegiare.