Indulto contro il Coronavirus "per restare umani"di Francesco Lo Piccolo* da Huffingtonpost del 07-03-2020 * giornalista, direttore di "Voci di dentro"
Pensando all’emergenza Coronavirus - a questa epidemia che può diventare un’occasione per riflettere su noi stessi e per non trattare gli altri come estranei e appestati, come dice il filosofo Galimberti - non posso non pensare alla situazione delle carceri. Un po’ perché da oltre dieci anni ho imparato a conoscere cosa è e cosa fa il carcere, e un po’ perché conosco le tante persone che vi sono rinchiuse e con le quali ho avviato e avvio progetti legati alla scrittura, all’editoria, al teatro.
Conoscenza diretta dunque che mi permette di dire che di fronte a questa epidemia al momento l’Amministrazione penitenziaria e lo stesso Ministero di Giustizia stanno solo “sperando che non accada nulla” senza mettere in campo le pur minime misure per eliminare alla base qualsiasi batterio o virus o agente contaminante. Incapaci strutturalmente, costretti a fare i conti con strutture da medioevo infestate da topi, sovraffollate all’inverosimile (oltre sessantamila detenuti, 47 mila posti effettivi), l’unica cosa che Dap e Ministero hanno saputo fare ad oggi è quella di avere dato via libera a provvedimenti che tolgono diritti e penalizzano ancora di più i detenuti come ad esempio il blocco o la riduzione dei colloqui, il blocco o la riduzione delle attività trattamentali, la sospensione degli ingressi dei volontari. Come se il Covid–19 potesse essere portato all’interno solo dai parenti dei detenuti e dai volontari e non da medici, infermieri, educatori ed agenti di polizia.
Certo il coraggio non è di tutti, ma un minimo di lungimiranza in chi lavora in questo settore non sarebbe male. Nelle condizioni in cui si trovano oggi le carceri italiane, come documenta ad esempio l’Osservatorio delle Camere penali (“Gravissima la situazione igienico-sanitaria, difficoltà e ritardi nella cura delle patologie, problemi nell’approvvigionamento dei farmaci, celle di pochi metri quadrati per 4, 6, 8 detenuti e chiuse in alcuni casi da 16 a 20 ore su 24, acqua calda a singhiozzo o addirittura un’eccezione…), per evitare epidemie al suo interno, e dunque il trasferimento d’urgenza in ospedale di detenuti eventualmente affetti da Coronavirus - aggravando perciò il sistema sanitario nazionale sempre più a corto di posti letto e di sale di rianimazione (dopo i tagli alla sanità di questi ultimi anni) - io ritengo che la strada da percorrere sia assolutamente (anche se non l’unica strada) la riduzione del numero dei presenti negli istituti di pena.
In concreto:
1) scarcerazione e invio ai domiciliari di anziani, paralitici, malati gravi, persone in uno stato di salute incompatibile con il carcere (Aids, tumori, cardiopatie),
2) indulto per tutti i detenuti con pene inferiori ai tre anni,
3) scarcerazione di 54 mamme e dei loro 59 bambini attualmente detenuti in 9 istituti.
Tre strade che nascono da queste considerazioni:
1) anziani e malati in carcere non ci dovrebbero stare visto che prima di tutto vanno tutelati il diritto alla salute, il rispetto della dignità e l’umanizzazione del trattamento, punti fermi e garantiti dalla Costituzione, dalla riforma del 1975, dalla legge Gozzini del 1986, dal nuovo regolamento penitenziario del 2000, dalle tante Raccomandazioni del Consiglio d’Europa, eccetera;
2) al 31 dicembre 2019 sono 22.999 i detenuti che sono al termine della loro pena: tra loro ad esempio persone che hanno già scontato 28 anni e ne devono scontare solo due, oppure persone che sono state recentemente incarcerate per un cumulo di pena di uno, due o tre anni e per un fatto magari accaduto dieci anni prima. Per essere precisi: 8.682 le persone che hanno da scontare in carcere ancora un periodo inferiore a un anno, 8.144 con un residuo di pena di due anni e 6.171 persone che devono restare ancora in carcere per un periodo fra i due e i tre anni.
3) “Mai più bambini in carcere” è una frase che ho sentito dire ogni anno e da almeno dieci anni sento dire da ministri, politici, governanti vari, di tutti i partiti, di tutti i colori. Nel frattempo, in carcere, quei 59 bambini la prima parola che imparano non è “mamma”, ma “ispettore apri”. Tre provvedimenti, a mio avviso, per evitare una eventuale crisi, per venire concretamente incontro (e non con divieti o palliativi) alle paure che ci sono tra i detenuti, soprattutto per cercare la buona cura per restare umani, come ci invita a fare il comico-scrittore Alessandro Bergonzoni.
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