Mose, i costi segreti dell’opera infinita che nascerà vecchia
Bilanci - Tra manutenzione e richieste di danni, per la barriera contro l’acqua alta a Venezia si rischia di spendere mezzo miliardo in più
di Giuseppe Pietrobelli da Il Fatto Quotidiano del 23-04-2017
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Un’acqua alta da mezzo miliardo di euro insidia il Mose, la ciclopica e costosa opera pubblica che dovrebbe salvare Venezia dalle bizzarrie del mare. Una cifra enorme, che sfiora il 10 per cento del costo complessivo di 5,5 miliardi di euro. A tanto assommano contenziosi, contestazioni, sanzioni tributarie, cause civili e penali, che coinvolgono le aziende che fanno parte del Consorzio Venezia Nuova, l’amministrazione straordinaria che ne ha preso in mano la gestione dopo lo scandalo giudiziario del 2014 e lo Stato italiano. Uno scontro infinito a colpi di carte bollate e pandette che marchia la già martoriata storia di una realizzazione che ha ingoiato miliardi e ha registrato l’annuncio dello slittamento del fine lavori al 2018 e della consegna (dopo il collaudo e il periodo di prova) nel 2021. Il cronoprogramma è stato spostato in avanti almeno di un paio d’anni.
La disfida infinita di interessi e di soldi è il risultato a scoppio ritardato di una gestione che per anni, stando ai risultati delle inchieste, era priva di controlli veri e sguazzava nei finanziamenti pubblici sotto la regia dell’ingegnere Giovanni Mazzacurati. Nel consuntivo 2016, da poco pubblico, la contabilità del Mose è riassunta in poche cifre. Il costo complessivo è di 5 miliardi 493 milioni di euro. I finanziamenti stanziati assommano a 5 miliardi 272 milioni di euro, di cui 4 miliardi 754 milioni utilizzati mediante atti contrattuali tra amministrazione concedente e concessionario, e altri 518 milioni già stanziati, ma non disponibili. Mancano da stanziare 221 milioni di euro.
Disfunzioni.
In parallelo c’è la contabilità dei conflitti, più o meno istituzionali. I malfunzionamenti rischiano di diventare un pozzo senza fondo. Gli amministratori straordinari Luigi Magistro (dimessosi alcune settimane fa), Francesco Ossola e Giuseppe Fiengo, hanno rilevato disfunzioni in parti dell’opera già progettate e realizzate. Il riferimento è a componenti che risultano già arrugginite e all’inceppamento delle paratoie. In attesa di individuare le responsabilità, sono state affrontate “criticità immediatamente incidenti sull’avanzamento dei lavori, sostenendo costi che hanno inciso direttamente sul consorzio per circa 2 milioni di euro”. Una somma che a qualcuno dovrà essere addebitata, perché le cerniere che consentono alle paratoie del Mose di alzarsi risulterebbero in più punti arrugginite e richiederanno interventi costosi.
Corte dei Conti.
Ma è poca cosa, se rapportata a quanto pretende la magistratura contabile. Il procuratore regionale della Corte dei Conti di Venezia ha, infatti, notificato un “Atto di costituzione in mora”, intimando al Consorzio, assieme a numerose società, il risarcimento di un presunto danno erariale per i fatti contestati dall’inchiesta penale del 2014 che ha decapitato i vertici del Cvn e della politica veneta. In via provvisoria è stato quantificato in 61,1 milioni di euro. Si riferisce alla “configurazione dei prezzi riconosciuti dall’allora Magistrato alle Acque per alcuni materiali, ritenuta illecita in quanto viziata dalla indebita influenza di esponenti del Consorzio coinvolti nell’inchiesta”. Erano i massi acquistati in Istria e pagati a peso d’oro.
Violazioni fiscali.
Sulla scena è però entrata anche la Guardia di Finanza con un processo verbale di constatazione notificato per violazioni fiscali (sempre legate all’inchiesta penale) che nel periodo 2007-2016 avrebbe comportato maggiori imposte per 14 milioni di euro. E per il solo 2007 l’Agenzia delle Entrate contesta il mancato versamento di 3,1 milioni di euro, oltre a interessi per un milione e sanzioni per altri 4 milioni di euro.
Operazioni inesistenti.
Il capitolo delle false fatturazioni tra 2005 e 2013 ha indotto gli amministratori straordinari ad avviare un’azione giudiziaria civile imponente “per ripetizione di indebito e per risarcimento danni, nei confronti delle imprese emittenti le predette fatture ed alcuni esponenti dell’epoca del Consorzio coinvolti nella vicenda”. Così è scritto nel bilancio che riporta la somma totale di 40,8 milioni di euro, oltre agli interessi legali di cui viene chiesto il pagamento ad alcune delle società coinvolte nelle inchieste.
La buonuscita.
Ci sono un po’ tutti in questa slot machine, tra pubblico e privato. Anche l’ingegnere Giovanni Mazzacurati, il padre del Mose che adesso vive negli Usa ed è affetto da demenza senile, al punto da essere ritenuto incapace di deporre al processo in corso da un anno a Venezia. Ebbene, l’ex presidente del Cvn ha ottenuto dal Tribunale di Venezia un decreto ingiuntivo nei confronti del Consorzio per un credito 836 mila euro (al netto di un debito pregresso di 317 mila euro) relativo a un accordo transattivo da 7 milioni di euro che costituiva la sua buonuscita. La richiesta è basata su un “accordo transattivo” tra il Consorzio e Mazzacurati che risale al 2013. Ma gli amministratori pubblici non solo contestano la pretesa, chiedono anche la restituzione dei 5,8 milioni di euro già pagati.
Bilanci impugnati.
L’elenco del contenzioso si allunga con l’impugnazione dei bilanci 2014 e 2015 del Cvn da parte di alcune imprese consorziate, che contestano l’amministrazione commissariale, a cui hanno dovuto piegarsi dopo anni di vacche grasse, a seguito della retata del 2014 e l’azzeramento dei vertici del Consorzio stesso finiti sotto inchiesta. Il tribunale di Venezia ha disposto una consulenza tecnica d’ufficio per verificare la fondatezza delle contestazioni. Ma questa è solo l’anticipazione del braccio di ferro tra privati e amministrazione pubblica.
Mancato affidamento.
C’è poi un’impresa del Consorzio che ha avviato una causa al Consorzio stesso per mancato affidamento di lavori in epoca precedente al commissariamento. Chiede 30,8 milioni di euro o, in via subordinata, la liquidazione di una somma di 10 milioni. Nel frattempo il Consorzio ha chiamato in causa le altre imprese consorziate, ritenendo che la causa debba coinvolgerle. Un guazzabuglio.
Extracosti.
Ma il piatto forte della singolare disfida è stato gettato sul tavolo da poche settimane. Le società consorziate chiedono allo Stato di pagare, quale risarcimento per i ritardi nell’ultimazione del Mose, costi aggiuntivi per 366 milioni di euro. È una cifra mostruosa, già sottoposta all’attenzione dei commissari da parte del Comitato Consultivo delle aziende, che è composto da Amerigo Giovarruscio (Consorzio Italvenezia), Luigi Chiappini (Consorzio Costruttori Veneti San Marco), Romeo Chiarotto (Società Consortile Venezia Lavori), Salvatore Sarpero (Società Consortile Mazzi) e Giovanni Benedetto Carbone (restanti imprese). I 366 milioni non comprendono gli oneri di natura assicurativa e fideiussoria. Le imprese che un tempo facevano il bello e cattivo tempo nei lavori del Mose rialzano la testa e chiedono alla finanza pubblica di far fronte all’incremento dei costi. Se dovessero aver ragione, il costo reale del Mose si dilaterebbe ancora. Forse fino a superare la soglia dei 6 miliardi di euro.
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