“Io, condannata per la mia tesi, pago l’accanimento sui No Tav”
Roberta Chiroli - Due mesi di carcere per il “noi partecipativo” nel racconto della mobilitazione in Val di Susa: “La violenza? Questione di linguaggio”
di Andrea Gianbartolomei da Il Fatto Quotidiano del 26-06-2016
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Per tre mesi ha osservato da vicino il movimento No Tav in Val di Susa per scrivere la sua tesi di antropologia, una tesi scritta col “noi partecipativo”. Seguiva le manifestazioni, come quella di alcuni studenti del 14 giugno 2013, e poi intervistava i militanti per capire il senso della loro lotta. Però lo scorso mercoledì 15 giugno la sua ricerca le è valsa una condanna a due mesi per concorso morale in invasione di terreni e violenza privata da parte del tribunale di Torino, reati contestati ai giovani No Tav che seguiva. Roberta Chiroli, 29 anni, laureata in Antropologia alla Ca’ Foscari di Venezia, è stupita dal verdetto. Ora a Londra lavora per pagarsi un master in Ethographic documentary making e magari un giorno tornare nella valle per girare un documentario sul movimento.
Come ha reagito alla notizia della condanna?
Ero incredula. Con l’avvocato Valentina Colletta avevamo scelto il rito abbreviato sicuri dell’assoluzione, ma questo verdetto ci ha lasciato senza parole. Secondo me è chiaro anche al tribunale di Torino che non sono materialmente colpevole di nessun atto, come dimostrano gli stessi video e foto fatti dalla Digos quel giorno. Ero sempre vicino all’altra imputata, che è stata assolta da ogni accusa proprio grazie a quei filmati. Io, invece, devo essere stata condannata per l’uso del “noi” nella tesi.
Perché ha scritto con quello stile?
Il “noi partecipativo” non è inusuale in antropologia, la ricerca sul campo prevede la presenza in loco e l’osservazione partecipante ai gruppi che si studiano. Questo non vuol dire automaticamente compiere le stesse azioni. In quell’occasione, come l’altra imputata, non ho mai varcato la soglia della ditta violando la proprietà privata, non ho danneggiato né imbrattato nessun mezzo, non ho bloccato la strada né fatto violenza sull’autista del veicolo che voleva entrare, come nessuno dei manifestanti ha fatto, peraltro. Non ho dato importanza al dettaglio perché non pensavo che sarei stata condannata per una sottigliezza descrittiva.
Quello era l’unico elemento in mano ai magistrati per condannarla?
Ribadisco che a condannarmi non sono delle prove materiali, ma quello che ho scritto nella tesi. Stiamo aspettando le motivazioni della sentenza perciò non so cosa abbia guidato la scelta del giudice, ma personalmente condivido l’opinione del movimento No Tav sull’accanimento giudiziario verso gli attivisti e verso chi voglia raccontare cosa succede in Val di Susa.
Alcuni professori e ricercatori hanno fatto appelli a sua difesa. Si aspettava che il suo caso diventasse così rilevante?
Sono molto grata del loro sostegno e della loro solidarietà. Io non mi aspettavo che questa storia potesse ottenere questa risonanza, ma la presa di posizione della comunità accademica dimostra il timore di tanti studenti, ricercatori e docenti per la libertà di espressione e di ricerca. Gli studi sociali non possono rinunciare alle loro metodologie e soprattutto non possono rinunciare allo studio dei conflitti per paura di processi su ciò che si scrive.
Ha seguito il movimento solo quel 14 giugno 2013?
No, sono stata con i militanti per 24 ore al giorno per i tre mesi della ricerca seguendo ogni iniziativa, ogni riunione ed evento. Volevo capire cosa significasse “essere No Tav” per gli attivisti e comprendere qual è il senso della loro lotta quotidiana. La mia soggettività non poteva essere espunta dal testo, anzi, spesso lo richiede l’antropologia.
Era già vicina a movimenti di protesta?
Sono interessata ai movimenti sociali, alle esperienze di antagonismo e di politica dal basso dal punto di vista accademico e politico, ma all’epoca non avevo esperienze di militanza.
Quella primavera in Val di Susa era segnata da gesti e scontri molto duri. Cosa pensa degli atti violenti di alcuni No Tav?
Come ho scritto nella mia tesi il tema della violenza è molto complesso e si devono analizzare le diverse rappresentazioni elaborate dal linguaggio politico-istituzionale, mediatico e interno al movimento. Se per lo Stato alcune azioni dei No Tav sono illegali e violente, per i militanti sono legittime perché a esercitare violenza sarebbe proprio lo Stato ignorando le loro istanze, anche quelle nei confini istituzionali. Inoltre il movimento rigetta la distinzione tra “buoni e cattivi”, come dimostra la solidarietà verso gli attivisti colpiti da misure giudiziarie.
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