vai alla home page

Bookmark and Share

 

Chi sono i protagonisti del processo Minotauro

di Giuseppe Legato da Narcomafie del 12-05-2016
http://www.narcomafie.it/2016/05/12/chi-sono-i-volti-del-processo-minotauro/

 

Il D-Day contro la presunta ‘ndrangheta radicata a Torino e scoperchiata dall’operazione Minotauro dei carabinieri con il blitz dell’8 giugno 2011 è dunque arrivato. E alla sbarra, per questa pronuncia c’erano i nomi che hanno dato la cifra dei rapporti e delle entrature della ‘ndrangheta piemontese nella società civile. Dei suoi rapporti, delle sue aderenze, della sua capacità di incidere su appalti e opere, su elezioni e rappresentanze.

 

L’udienza ha preso l’avvio ieri, mercoledì 11 maggio. Il sostituto procuratore generale di Cassazione Gabriele Mazzotta ha chiesto la sostanziale conferma dell’impianto di accuse e sentenze di primo e secondo grado, nell’ambito del processo Minotauro che si è svolto con rito ordinario. Quaranta condanne da confermare, sei posizioni da annullare con rinvio in corte d’Appello. Quattordici assoluzioni, quasi tutte da confermare nonostante il ricorso della procura.
Nel pomeriggio, la relazione dell’accusa è stata inviata con anticipo agli avvocati difensori degli imputati e ai legali delle parti civili “per ottimizzare i tempi dell’udienza” soprattutto alla luce dell’elevato numero di avvocati.
Ed è un filo rosso che lega la presunta malavita organizzata calabrese alla politica che guida i capisaldi della sentenza emessa oggi.

 

C’è ad esempio la figura di Nevio Coral ex sindaco di Leinì, arrestato e condannato a 8 anni di carcere – la Cassazione ha confermato la sentenza di secondo grado  – per concorso esterno in associazione mafiosa. Coral ha investito della sua difesa un notissimo avvocato italiano: Giulia Bongiorno. Non ha bisogno di presentazioni. Ma sono quelle con cui viene raccontato – in punti – Coral che colpiscono e che finora lo hanno penalizzato in sede di giudizio.
È Coral secondo l’accusa il protagonista di inquietanti intrecci e affari con la ‘ndrangheta calabrese che grazie alla multiservizi Provana (definita dallo stesso ex primo cittadino in sede di interrogatorio “il mio capolavoro”) riuscirono ad accaparrarsi appalti appetitosi spesso eludendo le normali procedure di bando. In contatto con personaggi di grande spessore criminale come Vincenzo Argirò e Giuseppe Gioffrè (ucciso a Bovalino il 28 dicembre 2008 in un agguato a colpi di lupara), Coral è stato finora incastrato da un’ambientale posizionata all’interno del ristorante “Verdina” di Volpiano. Fu messa lì grazie alla geniale intuizione di un ufficiale e registrò il comizio dell’ex sindaco di fronte ai maggiorenti della ‘ndrangheta. Si parla di opportunità di lavoro, di imprenditori onesti, di amici. I santini del figlio Ivano vengono ritrovati sulle auto di alcuni sodali all’uscita dalla cena.

 

Non solo. La commissione di accesso agli atti che ha di fatto sciolto il consiglio comunale di Leinì ha sostenuto che “Nevio Coral ha certamente intrattenuto rapporti finalizzati allo scambio elettorale politico mafioso con Natale Romeo”, padrino della ‘ndrangheta (in aula ha negato di farne parte), la cui ditta ha realizzato un piccolo ampliamento del poliambulatorio di Leinì (importo lavori 55 mila euro). A lui Coral – secondo le risultanze di Minotauro, si legge nelle relazione – ha chiesto sostegno elettorale in suo favore nelle elezioni amministrative del 2011 per la carica di sindaco di Volpino


Ci sono i rapporti, umani e lavorativi, con Giovanni Iaria, attivo nel locale di Cuorgnè (morto a 65 anni nel carcere di Asti), con il nipote Bruno Iaria e con Walter Macrina, titolare della Edilmaco in cui Coral è presidente del cda, affiliato al locale di Volpiano. In una conversazione intercettata, agli atti processuali di Minotauro, Bruno afferma di avere ricevuto 1.500 euro da Coral durante la sua detenzione. In un’altra telefonata dell’aprile 2009 sempre Bruno racconta che lo zio Giovanni avrebbe ottenuto dal “signor sindaco” degli appalti in cambio del sostegno elettorale del clan. L’accordo avrebbe consentito al gruppo “di spendere presso le banche il nome dell’ex primo cittadino come committente”. Chi è dunque Coral? “Il nostro biglietto da visita” dicono al telefono.”Che sennò, se andiamo noi, ci salta la magistratura addosso”.


Poi c’è Salvatore Giorgio Demasi.  Nato a Martone a pochi chilometri da Gioiosa Jonica Non è un boss con la pistola, non si sporca le mani con le estorsioni e la droga. È un imprenditore del settore edile-immobiliare peraltro molto stimato per la qualità dei lavori realizzati negli anni nella cintura di Torino. Ma per l’accusa è un padrino assoluto della ‘ndrangheta calabrese.  Che partecipa ai riti di affiliazione, alle promozioni, alla distribuzione di doti. Alcune parentele non lo hanno di certo favorito nelle indagini. Ormai tanti anni fa ha sposato Antonia Romeo nata a San Luca, figlia di Sebastiano Romeo alias “U Staccu” mamma santissima della ‘ndrangheta reggina tra i primi promotori della pace di Reggio Calabria dopo la seconda guerra di mafia tra le famiglie De Stefano e  Imerti che lasciò sull’asfalto 600 morti in sei anni. Il matrimonio gli è valso anche la parentela di cognato con Giuseppe Giorgi, alias “U Capra”, inserito tra i trenta latitanti più pericolosi nell’elenco del Ministero dell’Interno. Una primula rossa, imprendibile. Per dirla con le parole dell’ex procuratore capo Giancarlo Caselli è “colui  che si è occupato di vicende legate alcune campagne elettorali e che ha avuto a che fare con sei politici torinesi”. Attorno a lui ruoterebbe “quell’amorevole e inquietante intreccio tra la mala calabrese e alcuni uomini dei partiti, delle istituzioni”. Con chi parla Demasi? Con Gaetano Porcino ex deputato Idv, Antonino Boeti consigliere regionale Pd, Domenico Lucà ex deputato Pd, Fabrizio Bertot ex sindaco Pdl di Rivarolo, Francesco Brizio Falletti sindaco Pd di Ciriè e presidente della Gtt società che gestisce i trasporti su gomma-rotaia a Torino e provincia, Alberto Tromby ex assessore di Alpignano. Eccoli i politici intercettati o filmati durante alcuni incontri ai quali era presente anche De Masi. Nessuno di loro è indagato. Nessuno si è visto recapitare contestazioni formali dalla Procura di Torino. E – soprattutto – nessuno sapeva che De Masi potesse essere un presunto mafioso: “Lo conoscevamo come un imprenditore”. Per il pg il ricorso di Salvatore Giorgio Demasi è da rigettare. La Cassazione ha anullato con rinvio alla Corte di Appello la condanna di dodici anni (emessa in secondo grado, 14 in Assise).


La procura generale aveva richiesto il ricorso di Antonino Battaglia, ex segretario comunale di Rivarolo e del suo amico, l’imprenditore Giovanni Macrì condannati in Appello. Sono loro i protagonisti di quella che la procura – e i giudici di secondo grado – inquadrano come una condotta di voto di scambio politico mafioso: 416 ter. O meglio come una promessa di tutto questo. Il fatto è noto: Battaglia e Macrì si recano con Fabrizio Bertot allora sindaco di Rivarolo e candidato in quel periodo (2009) alle elezioni europee al bar Italia di via Veglia, l’ex quartiere generale della ‘ndrangheta oggi confiscato. Al tavolo ci sono i maggiorenti dell’organizzazione in provincia di Torino, i rappresentanti delle “locali”. Si parla di grandi opere, di “strade da allargare” e – alla fine – c’è un incontro tra i due imputati e Giuseppe catalano. L’ex capo dei capi, morto suicida dopo essersi dissociato dall’organizzazione. Secondo il pg, questa condotta va ascritta nell’alveo del 416 ter come stabilito dalla Corte d’Appello.  I giudici  della Cassazione hanno invece deliberato che si tratta di reato elettorale semplice.

 

Non c’è solo politica nella sentenza. C’è anche una forte rappresentanza dell’ala militare della ‘ndrangheta. E la posizione che meglio riassume questa immagine è forse quella di Vincenzo Argirò che si è visto infliggere la condanna più alta: 18 anni sconti compresi. Un giorno Argirò si presento con un sodale ai titolari di un cantiere in corso per la sistemazione degli argini del torrente Stura: “Avevano in mano una copia di una vecchia ordinanza di arresto a loro carico”. Dissero al titolare: “Questi siamo noi”.