Mangiatoia di Statoda “Grandi opere: quando la corruzione Incalza”di Alberto Vannucci, Blog su Il Fatto Quotidiano – 18-03-2015 …
In questa gestione privatistica i controlli dello Stato naturalmente si diluiscono, scompaiono del tutto quando i controllori sono a libro paga, nominati dagli stessi controllati o dai dirigenti corrotti che li proteggono. E’ il caso dei direttori dei lavori per gli appalti “modello-Incalza”: quello inquisito, a giudizio di un imprenditore, “non faceva nulla, non si vedeva mai. Prendeva solo i soldi. La direzione dei lavori per il nodo alta velocità di Firenze era uno stipendificio”. I margini di profitto, o meglio di rendita? E’ sufficiente una variante per opere accessorie – che non si nega a nessuno – e “hanno aumentato del 40% il valore dell’opera”. Basta trovarsi nel giro giusto, e la rendita è assicurata: “Devi riuscire a prendere una impresa seria che sappia fare bene i lavori e ti prendi dell’opera: il 30% te lo porti a casa”. Si provi ad applicare simili percentuali ai 25 miliardi gestiti da questa piccola cricca, o ai circa 100 miliardi delle linee Tav assegnate seguendo il “modello Incalza”, per farsi un’idea dell’ordine di grandezza della mangiatoia di Stato.
Il ruolo della politica? Marginale persino nelle quote di tangenti incassate, poco più di un’elemosina, spesso riciclata in campagne elettorali o nella guerra tra bande interna ai partiti. E’ una politica inerme di fronte al sapere specialistico di chi sa cucire norme e procedure come abiti di sartoria per l’esercizio di una “corruzione a norma di legge”. Una politica nella quale l’unica appartenenza che conta è quella che marca i confini degli affari più lucrosi, come dimostra l’antica consuetudine di un coinvolgimento bipartisan, dove qualsiasi parvenza di contrapposizione sfuma nella consapevolezza della ricattabilità condivisa. Persino la nomina dei sottosegretari serve a compiacere il vero dominus, l’altissimo boiardo di Stato che transita da un ruolo apicale all’altro restando il vero garante del sistema, e si è pronti a far cadere il governo se solo si attenta alla continuità del controllo sulla “sua” struttura tecnica di missione, grumo di potere che nel Ministero salvaguarda la gestione accentrata dei “grandi appalti” inquinati.
A fronte di una politica in via di liquefazione, ben strutturate appaiono invece le reti di una corruzione spesso eletta a sistema e metodo di governo. Coerentemente col paradigma neoliberista, infatti, nei vari e assortiti comitati d’affari si realizza una privatizzazione del bene comune, convertito in potere d’acquisto e spartito tra i pochissimi partecipanti al gioco della corruzione. Tensioni, controversie, attriti, sempre possibili dati gli appetiti in ballo, sono ricomposti in virtù del comune riconoscimento di un centro di autorità – se disponibili sono graditi a questo scopo persino i servigi di un’organizzazione criminale, meglio se autoctona come Mafia Capitale. Ma per costruire un meccanismo di autoregolazione interna è sufficiente l’affermarsi di una figura di riferimento, qualcuno “che decide i nomi… fa il bello e il cattivo tempo ormai là dentro… o dominus totale”, uno che “al 100% non si muove una foglia… si sempre tutto lui fa… tutto tutto tutto!…ti posso garantire… ho parlato con degli amici…”. Una corruzione organizzata, nei confronti della quale persino la tanto invocata riforma anticorruzione – dai confini peraltro ancora nebulosi – rischia di tradursi in un nulla di fatto, quanto consapevole o deliberato non ci è dato di sapere. |