‘Ndrangheta, i giudici: “In Piemonte è struttura unitaria e in evoluzione” Depositate le motivazioni della sentenza Minotauro: "Siffatta trasformazione nella continuità - argomentano i giudici - dimostra che l’associazione si è adeguata al mutato contesto sociale, anche in relazione ai territori di espansione, riuscendo a coniugare il rispetto delle ataviche tradizioni e regole con le nuove realtà economico-finanziarie". E politiche
di Andrea Gianbartolomei da Il Fatto Quotidiano del 20-02-2014
La ‘ndrangheta in Piemonte “non può più ritenersi solo un insieme di locali o cosche, ma deve essere considerata struttura unitaria di cui queste sono articolazioni territoriali”.
Nelle 519 pagine di motivazioni del processo Minotauro (37 condanne lo scorso 22 novembre) ”le acquisizioni processuali documentano un’evoluzione in senso verticistico e unitario della ‘ndrangheta che, pur nella persistente autonomia territoriale, concilia il centralismo delle regole organizzative e dei rituali con il decentramento operativo. Siffatta trasformazione nella continuità – concludono – dimostra che l’associazione si è adeguata al mutato contesto sociale, anche in relazione ai territori di espansione, riuscendo a coniugare il rispetto delle ataviche tradizioni e regole con le nuove realtà economico-finanziarie“. E politiche; che ben conoscono la criminalità organizzata. Per esempio l’europarlamentare di Forza Italia Fabrizio Bertot ha detto il falso: Non poteva non sapere del patto elettorale tra i suoi sostenitori e gli ‘ndranghetisti perché era il beneficiario diretto di quell’accordo. I magistrati giudici della V sezione penale di Torino puntano il dito anche contro Nevio Coral, ex sindaco di Leinì condannato a dieci anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa. Secondo i magistrati ha agito “in dispregio delle regole di correttezza ed onestà che dovrebbero sovraintendere la vita pubblica”.
Il voto di scambio. Bertot, ex sindaco di Rivarolo, subentrato a maggio nel parlamento di Bruxelles al posto di Gabriele Albertini, “ha reso dichiarazioni non veritiere” sull’accordo fatto dal segretario comunale Antonino Battaglia, l’imprenditore Giovanni Macrì e i principali esponenti della ‘ndrangheta torinese. Il politico non poteva non essere al corrente del patto perché “fu infatti l’immediato, diretto e consapevole beneficiario dell’accordo illecito”, scrivono i giudici che hanno condannato a due anni di reclusione Battaglia e Macrì. I pm della Direzione distrettuale antimafia di Torino ipotizzavano nei confronti dei due un reato più grave, il voto di scambio politico-mafioso, ma per il tribunale si tratta di voto di scambio semplice perché “manca la prova della dazione” di denaro.
Tuttavia c’è bisogno di altri approfondimenti. Alla lettura della sentenza, il presidente del collegio Paola Trovati aveva ordinato la trasmissione degli atti alla Procura affinché approfondisse la posizione di Bertot. Si può ipotizzare che ora i pm debbano indagare per falsa testimonianza e voto di scambio. A luglio, però, gli inquirenti ritenevano necessari accertamenti “in relazione alla violazione di cui all’art. 416 ter del codice penale” (ovvero lo scambio elettorale politico-mafioso) per via di una fattura da 20mila euro pagata dalla società di Bertot a Macrì per un importo pari a quello richiesto dagli ‘ndranghetisti per i voti.
Il concorso esterno. Più grave è stato il comportamento di Nevio Coral, imprenditore ed ex sindaco di Leinì condannato per concorso esterno in associazione mafiosa. A differenza del caso che coinvolge Bertot, qui oltre alla promessa ci sono anche i fatti. I giudici ricordano come “in cambio di appoggio elettorale al suo gruppo, Coral si sia speso non solo promettendo, ma altresì attribuendo, oltre ad elargizioni di denaro, lavori edilizi in ambito privato ed in ambito pubblico”. Sono significativi i versamenti di “ingenti somme” ad affiliati e a uomini collegati “per ottenere voti in occasione di competizioni elettorali”, quelle che coinvolgevano lui stesso, i figli Ivan e Claudio e la nuora Caterina Ferrero. In questo modo il politico “ha pertanto fornito un contributo concreto e specifico, così rafforzando l’associazione stessa”.
Coral non avrebbe scusanti. “Non poteva essergli ignota la mafiosità dei numerosi esponenti anche apicali della ‘ndrangheta operante in Piemonte”, perché era “amministratore da anni di una piccola realtà locale” e perché “la fama di alcuni individui, quali esponenti della malavita organizzata, era notoria”. Il caso citato è quello di Giovanni Iaria, ex amministratore socialista e zio del boss di Cuorgné Bruno Iaria (quest’ultimo chiama Coral “il secondo Berlusconi del Piemonte”). L’ex sindaco ha agito “in dispregio delle regole di correttezza ed onestà che dovrebbero sovraintendere la vita pubblica”, scrivono i giudici.
L’infiltrazione “inquietante”. Il tribunale definisce “inquietante” l’attivismo di un altro politico, Bruno Trunfio, ex assessore ai lavori pubblici a Chivasso, città in cui era vicesegretario dell’Udc, condannato a sette anni di carcere per associazione mafiosa: faceva parte della locale di Chivasso con la dote di ‘trequartino’. “L’attivismo politico di Bruno Trunfio” sarebbe “indice dell’infiltrazione della ‘ndrangheta in settori nodali della società civile e di quella capacità di mimetismo e di adattamento che rende il fenomeno mafioso di difficile individuazione e repressione”. Nelle motivazioni non emergono però informazioni sugli altri politici piemontesi che nel corso degli anni hanno avuto contatti con i presunti ‘ndranghetisti. Anche se il loro comportamento fu duramente criticato dall’ex procuratore capo di Torino Giancarlo Caselli all’inizio della requisitoria. |