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NoTav, terrorismo? Basterebbero due parole ...
A rasserenare la valle di Susa basterebbe un "ok parliamone".
La valle le attende inutilmente da vent'anni. Ma i governi si rifiutano di pronunciarle

 

di Giorgio Cattaneo da Megachip 01-08-2013
http://megachip.globalist.it/Detail_News_Display?ID=82931&typeb=0&NoTav-terrorismo-Basterebbero-due-parole--


Dopo George Bush junior, l'11 Settembre e le inesistenti "armi di distruzione di massa" di Saddam, costate la doppia carneficina dell'Iraq e dell'Afghanistan, col ricorso alla "guerra preventiva" che ha terremotato il pianeta annullando l'Onu e facendo scomparire il diritto internazionale, la parola "terrorismo" non è più così univoca: ha cessato di designare una verità certa e ben delineata, solitamente incarnata da cellule di killer fanatici, pronti a compiere attentati sanguinosi da rivendicare tempestivamente in nome di una causa politica. Terrorismo, anni di piombo, strategia della tensione: cupi fantasmi, che in Italia aleggiano ancora sulle stragi impunite e sugli agguati brigatisti, affondando in molti casi nella zona grigia dei depistaggi e delle trattative segrete, come sembrano confermare anche le ultime clamorose rivelazioni sul sequestro di Aldo Moro. In generale, continuano a emergere "verità" a orologeria: notizie più che imbarazzanti, storicamente credibili ma non ancora certificate in via definitiva, sul piano processuale.

L'imputazione di terrorismo rivolta ai militanti No-Tav accusati di aver assaltato il cantiere di Chiomonte con petardi e fuochi artificiali il 10 luglio scorso fa seguito alla decisione di processare gli oltre 50 militanti arrestati nel 2012 nell'aula-bunker del carcere torinese delle Vallette, come se si trattasse di pericolosi boss mafiosi o, appunto, temibili professionisti del terrore. Nella piccola ma strategica valle di Susa, principale asse di collegamento Italia-Francia (tre valichi internazionali, un'autostrada e una ferrovia) lo spettro del terrorismo brigatista si materializzò negli anni '70, quando alcune decine di giovani - cresciuti nel culto della Resistenza partigiana - aderirono a Prima Linea, facendo della valle l'unica area alpina italiana "contagiata" dalla lotta armata. In realtà la valle di Susa era già allora una sorta di laboratorio politico, apertissimo al fermento nazionale di quegli anni: oltre ai ragazzi affascinati da Prima Linea c'erano scuole di nonviolenza come quella di Achille Croce, ispirata al lavoro di Dolci e Capitini; c'erano preti di strada come don Giuseppe Viglongo, preti operai come don Bruno Dolino, pacifisti militanti e obiettori di coscienza come Gualtiero Cuatto, tra i primi in Italia a finire in prigione per renitenza alla leva militare.

Valle di Susa, maneggiare con cura. L'anima resistenziale della valle ha dato battaglia negli anni '80 e '90 opponendosi alla costruzione di un maxi-elettrodotto devastante e all'apertura dell'autostrada del Fréjus: il Comitato Habitat, embrione tecno-ecologista del futuro movimento No-Tav, a colpi di ricorsi alla magistratura riuscì a far modificare il tracciato autostradale, imponendo la costruzione di gallerie al posto dei viadotti, ritenuti eccessivamente impattanti. Erano gli anni in cui la magistratura scioglieva per mafia il Consiglio Comunale di Bardonecchia, cuore delle future Olimpiadi Invernali Torino 2006, mentre la dottoressa Gabriella Viglione, pm della Procura di Torino, scopriva un imbarazzante traffico di armi: pistole transitate clandestinamente da un'armeria di Susa alla 'ndrangheta, con la complicità di settori dei servizi segreti. Un altro magistrato torinese, Maurizio Laudi, reduce dalla lotta contro l'eversione negli anni di piombo, fece arrestare gli anarchici "Sole e Baleno", insieme al valsusino Silvano Pelissero, con l'accusa di banda armata e associazione terroristica, dopo una drammatica sequenza di attentati dinamitardi contro le primissime trivelle Tav e altre installazioni, ripetitori televisivi e telefonici.

"Sole e Baleno" morirono in stato di detenzione prima ancora che il tribunale li scagionasse: ancora oggi non si sa chi abbia messo davvero quelle bombe, che nella seconda metà degli anni '90 agitarono le notti della "valle dei misteri". Se qualcuno ha manovrato nell'ombra per depistare indagini o distrarre l'opinione pubblica da sospetti più che preoccupanti, primo fra tutti la presunta complicità di settori dell'intelligence con le cosche calabresi, esattamente nel periodo sul quale si indaga tuttora per "trattative" e "misteri" ben più eclatanti, dalla morte di Falcone e Borsellino a quella dell'allora capo della Procura torinese, Bruno Caccia, risulta quantomeno singolare che eventi di quel genere possano aver coinvolto un territorio in apparenza periferico come quello della valle di Susa, in realtà nevralgico per i trasporti via Francia. Nel 2005, l'opposizione al nuovo ecomostro in arrivo - la linea Tav - sfociò in una clamorosa rivolta popolare, che riuscì a fermare il primo cantiere, quello di Venaus, costringendo i promotori a riconoscere l'insostenibilità del progetto.

Oggi, di fronte alla nuova opposizione No-Tav contro il progetto-fotocopia della Torino-Lione varato attorno al 2010, si è giunti a rievocare lo stesso vecchio fantasma, quello del terrorismo. Il movimento No-Tav non ha finora preso le distanze dai nuclei di attivisti che hanno condotto "assalti" notturni contro il cantiere di Chiomonte, spesso solo dimostrativi ma a volte col ricorso al lancio di pietre, molotov e petardi. Reati che concorrono alla costruzione di un impianto accusatorio molto severo, che molti critici contestano e che i No-Tav definiscono persecutorio, sostenuti in questo dal Movimento 5 Stelle. «Restiamo contrari ad ogni forma di violenza», sottolinea il presidente Pd della Comunità Montana, Sandro Plano, che però precisa: «Terrorismo è sparare a qualcuno, non incendiare un compressore nel cantiere: è bene mantenere il senso delle proporzioni, senza contare che chi commette quel tipo di reato non lo fa comunque per assecondare interessi personali, ma perché conduce una battaglia ideale per la salvaguardia del territorio».

Spettrale, come sempre, il vuoto della politica sul fronte istituzionale: sono gli stessi sindacati di polizia a contestare il ruolo affidato agli agenti, in prima linea per tutelare l'ordine pubblico mentre il Palazzo continua a ignorare nel modo più assoluto la pressante richiesta di ridiscutere un'opera demenziale, dai costi folli e totalmente inutile, ormai declassata dalla Francia e dall'Europa.
Sul tappeto non c'è solo il grosso business dei maxi-progetti e del cantiere di Chiomonte, ma anche - e forse, soprattutto - la gestione del dissenso sociale in quest'epoca di crisi: come se la valle di Susa non potesse "averla vinta", meno che mai in questo momento, perché una vittoria No-Tav potrebbe incoraggiare altre rivolte, nell'Italia del 2013 che, secondo Beppe Grillo, sta letteralmente per esplodere, sotto la tortura dell'Eurozona che impone il taglio della spesa pubblica facendo crollare economia e lavoro.
Lo sanno tutti, a rasserenare il clima in valle di Susa basterebbero due parole: «Ok, parliamone». Sono le parole che la valle attende inutilmente da vent'anni. Parole decisive, che i governi si rifiutano di pronunciare: preferiscono militarizzare il territorio e criminalizzare la protesta, col rischio che degeneri nella disperazione.