vai alla home page

Bookmark and Share

 

VAL DI SUSA
Diavolina e lacrime Le due valli in guerra con il Tav (e lo Stato)

Dopo il quattordicesimo attentato in tre mesi viaggio nel cantiere più contestato d’Italia

 

di Gianni Barbacetto, inviato a Susa da Il Fatto Quotidiano del 13-09-2013

 

Ti guarda negli occhi e ti dice: “Siamo stupiti e preoccupati”. È un leader storico dei No Tav, un signore che da 23 anni fa parte del movimento e che ha cresciuto i suoi figli “a pane e No Tav”.
Qui in Valsusa è l'attentato alla Diavolina numero 14: nella notte tra mercoledì e giovedì ha preso fuoco un container ed è stata danneggiata una pala meccanica nella cava di un'azienda che in passato ha lavorato per il Tav, la Italcoge di Susa. Quattro cubetti di Diavolina sistemati accanto alle gomme e infuocati: è il metodo che si è ripetuto più volte, in molti dei 14 episodi che negli ultimi tre mesi hanno danneggiato mezzi e apparecchiature che hanno a che fare con i lavori per la costruzione del tunnel dell'Alta velocità.

 

Per la nostra azienda è il quinto attentato”, dice Antonio Lazzaro, titolare della Italcoge. “Ormai le compagnie assicurative non coprono più i nostri mezzi. A me personalmente hanno anche spedito tre buste contenenti alcuni proiettili, l'ultima il 3 luglio. Finiti i mezzi, inizieranno con le persone”.
Il fuoco è stato appiccato poche ore dopo che il fratello di Antonio Lazzaro, Ferdinando, che con lui guida l'azienda, aveva partecipato a una puntata del programma televisivo Virus, su Raidue, dove aveva raccontato le intimidazioni subite in passato.

 

È la più classica delle ritorsioni, in perfetto stile mafioso”, ha commentato il senatore del Pd Stefano Esposito, tra i più attivi contro il movimento No Tav. La cava della Italcoge è sopra Susa, in alto sulla montagna. Chi ha acceso la Diavolina ha portato lì e lasciato sul terreno anche alcuni lacrimogeni di quelli sparati dalla polizia contro i No Tav durante le iniziative di protesta e raccolti dai manifestanti come prova delle violenze subite.

 

Nella notte tra domenica e lunedì, un incendio aveva devastato un'altra azienda, il cementificio di Salbertrand della Itinera (gruppo Gavio), che fornisce il cemento per le opere già iniziate in zona. Sono andate a fuoco betoniere e altri mezzi, con danni che sfiorano il milione di euro.

 

Che cosa sta succedendo nella “valle che resiste”? Qualcuno ha deciso un “salto di qualità” nella lotta contro il Tav? “Siamo stupiti e preoccupati”, ripete il vecchio militante. “Perché non riusciamo a capire chi ci sia dietro. L'unica cosa che capiamo è che questi sono episodi che danneggiano il movimento e la gente della valle”. “È mai possibile”, incalza un altro, “che in una zona militarizzata come la nostra, piena di polizia, di controlli e di telecamere, sia possibile compiere questi attentati senza essere scoperti?”.
Qualcuno butta lì un sospetto: “Le aziende che subiscono attentati sono piene di problemi economici: non è che se li fanno da soli?”. Qualcun altro parla addirittura di “strategia della tensione”: “La violenza non viene da noi. Ormai il Tav è diventato una battaglia che lo Stato deve vincere a tutti i costi, anche con provocazioni costruite per danneggiarci, per farci passare come violenti e irresponsabili”.
Qualcun altro ricorda invece le violenze subite: “Quanti di noi hanno avuto danneggiamenti alle proprie auto, solo perché esponevano gli adesivi No Tav?”. Interviene una signora: “Alla mia macchina hanno più volte bucato le gomme, e una volta ci hanno buttato sopra la vernice. Nessuno mi chiama a Virus a raccontarlo?”.

 

Tra Susa e Bussoleno le voci si rincorrono e si sovrappongono. A parlare non sono giovani militanti politici, ma uomini e donne di ogni età. Gabriella fa parte dei “Cattolici della Valle”: “Noi andiamo ogni pomeriggio a pregare in Clarea, la valle militarizzata dove stanno costruendo una galleria di servizio, perché da cattolici vogliamo preservare il creato, come ci incoraggia a fare anche Papa Francesco. Per arrivare, facciamo ogni giorno 40 minuti a piedi”. Qualcuno giustifica: “In 23 anni di movimento, loro ci hanno attaccato, ci hanno ferito e noi non abbiamo mai fatto male a nessuno. Se dopo 23 anni adesso qualcuno ha perso la pazienza, riesco a capirlo”.
C'è invece chi parla di gruppi organizzati che hanno deciso il “salto di qualità” e accenna a una sorta di rincorsa tra l'area dell'autonomia che fa riferimento ai centri sociali e i gruppi anarchici.

 

Gli investigatori, dal canto loro, non hanno dubbi: già dal 2011 in Valsusa sono arrivati gruppi che operano con “micidialità sovversiva”. Il Tav è diventato il pretesto per praticare forme di guerriglia e organizzare attentati. La Valle è usata come laboratorio della rivolta, palestra per la formazione di quadri sovversivi. Un magistrato sostiene che ormai siamo in una situazione pre-terroristica: anche le Br, ricorda, iniziarono danneggiando automezzi e poi passarono agli attentati alle persone. Il movimento No Tav resta fortemente radicato in Valle e sostanzialmente pacifico: “Ma continua a tollerare i sovversivi”, obietta un investigatore, “ha adottato i professionisti della violenza”. Fino al rifiuto della giurisdizione: “La Valle non si processa, dicono. Ma nessuno vuole processare le sacrosante idee dei valsusini contro un tunnel probabilmente inutile e forse anche dannoso. Ma dobbiamo processare chi compie atti contrari alla legge”.

 

Il ministro Maurizio Lupi ripete che gli attentati in Valsusa sono “azioni terroristiche compiute da delinquenti”. Ventidue sindaci e amministratori della Valle hanno invece sottoscritto una nota in cui chiedono che cessi “ogni atto di violenza”, ma che al tempo stesso il governo riapra il confronto tecnico e istituzionale con i No Tav. L'ha firmata anche il presidente della Comunità montana locale, Sandro Plano, da sempre contrario all'Alta velocità Torino-Lione. “Gli amministratori della Valsusa condannano ogni atto di violenza, intimidazione e vandalismo. Rivolgono un appello affinché questi atti non si ripetano più e affinché la protesta contro la costruzione di una nuova linea ferroviaria ad alta velocità si svolga nei limiti e nelle forme consentite dalla legge. Chiedono che sia data un'informazione corretta su queste vicende e al governo di riaprire, con urgenza, un confronto tecnico e istituzionale anche con gli Enti locali che hanno espresso critiche all'opera”.

 

Intanto, i pacifici volontari che da 23 anni si battono contro il tunnel continuano a chiedersi chi sono i professionisti della Diavolina.