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Il peccato originale del Tav in Valle Susa

 

di padre Beppe Giunti dalla rubrica “Opinioni” di Luna Nuova del 17-09-2013

 

Nella questione Tav-No Tav in valle di Susa non compare mai una riflessione documentata sul peccato originale che ha condizionato le reazioni dei soggetti interessati: cittadini, Comuni, Comunità montane, etc. Questo peccato delle origini sta nella mancanza di un vero e prolungato periodo di dibattito pubblico sulla utilità e sostenibilità dell'opera grande che veniva proposta. Il dottor Virano ha perso ormai la voce a dire e sostenere che sono state innumerevoli le occasioni di confronto tra le istituzioni coinvolte nel progetto e tutti coloro che avanzavano critiche e controproposte. Tutto vero. Ma.

 

Ma all'ordine del giorno di queste riu­nioni c'è sempre e soltanto la domanda su "come" realizzare il Tav - o il Tac? - come modificare il tracciato, quali compensazioni offrire alle comunità lo­cali. È sempre mancata la preliminare, fondamentale, democratica domanda: ne vale la pena? Dal punto di vista ambien­tale, economico, culturale? Mai nessuno ha posto con onestà intellettuale questa domanda. Il mondo politico ha dato per scontato fin dal primo momento che quel tratto di pennarello sulla cartina dell'Europa fosse stato segnato con inchiostro indelebile!

 

Qualche dato di cronaca per fornire ma­teriale di riflessione all'opinione pubblica e soprattutto per riportare la faccenda nel­l'ambito politico, civico, culturale e sradi­carla da quello dell'ordine pubblico, come invece frange del movimento e all'opposto politici interessati vogliono fare.
I saggi del governo Monti proposero quanto segue: «I grandi interventi infra­strutturali devono essere decisi solo dopo un ampio e regolato confronto pubblico, per favorire la partecipazione dei cittadini a decisioni che hanno impatto rilevante sull'ambiente» e citano «la Convenzio­ne di Aarhus del 1998 e come avviene da tempo in Francia con la legge n. 276 del 2002 dedicata alla "démocratie de proximité"».

 

Fu il ministro Passera a sollecitare l'introduzione in Italia della consultazione pubblica in caso di opera di grande impat­to; anche il ministro Cancellieri segnalava la necessitaci un decreto legge ad hoc, per­ché percepiva l'avanzare di forme di vio­lenza all'interno del movimento No Tav. E le contestazioni sono diminuite dell'80 per cento in Francia dopo l'introduzione di questa metodologia di partecipazione democratica.

 

l Consiglio dei ministri approvò e il 30 ottobre 2012 il comunicato stampa annun­cia che il disegno di legge, sul modello francese del debàt public, introduce nel nostro Paese l'istituto della consultazione pubblica per la realizzazione delle opere di interesse strategico, così da consentire il coinvolgimento preventivo delle comunità e dei territori interessati, permettendo una maggiore condivisione delle infor­mazioni e delle finalità dei progetti con le comunità locali.

 

Perché allora non tagliare l'erba sotto i piedi dei violenti? A quelli che praticano la violenza fisica e a quelli che praticano la violenza verbale, culturale e - chiedo scusa - giornalistica, quella che non in­forma su tutti gli aspetti della questione, ma evidenzia sempre e soltanto gli aspetti di ordine pubblico? Perché non fermare tutto e mettere tra parentesi l'orgoglio delle proprie bandiere per ragionare? Per applicare le indicazioni di quel Decreto Legge? Per chiederci una buona volta se quella Opera Grande ci serve o no, se è nell’ interesse generale e complessivo, se le generazioni future ne trarranno benefici o no. Rispondendo all'interrogativo non con slogan da campagna elettorale, ma con dati scientifici, oggettivi, comprensibili.
Non so se il cardinal Bagnasco pen­sava a qualcosa del genere, ma quando dice che serve una ulteriore riflessione il più possibile indipendente e oggettiva, va certamente nella direzione qui per sommi capi indicata. Perché non espiare quel peccato originale e andare davvero a verificare se quel tunnel ha senso o no? E ascoltare davvero le voci del dissenso. E magari chiedersi come mai il mondo scientifico è contrario e quello dei partiti è favorevole?

 

Temo che se non si pone un gesto forte, coraggioso, alto, come un periodo di di­battito pubblico, se non si fa la domanda delle domande: Sì o No? Se continuiamo a discutere di compensazioni e tracciati da spostare un po' più in là, allora ci con­danniamo a 20 anni di cantieri protetti dall'esercito e a uno scontro continuo che non lascerà frutti buoni, per nessuno.