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LA VALLE CHE RESISTE E NON SI ARRENDE

Origini e percorso del movimento No Tav

 

La Valle di Susa è per natura geografica luogo di scambio, non solo in senso trasportistico e commerciale. Lo è stata per i primi contadini del neolitico a cavallo delle Alpi, per eserciti e pellegrini lungo i sentieri dei boschi e la via Francigena; lo è tuttora e in qualche modo continuerà ad esserlo in futuro.
Non si può comprendere l’originalità del movimento No Tav se non partendo dalla Storia sociale del territorio (parlo degli ultimi decenni, tranquilli)

 

La società civile attiva in Val di Susa

Già terra di brigate partigiane, nel dopoguerra la bassa valle industrializzata è stata significativa protagonista delle lotte per i diritti dei lavoratori, nonché del pacifismo cattolico di base attivo contro la produzione di armi e per l’obiezione di coscienza al servizio militare.
All’inizio degli anni 70, con il Collettivo Operai e Studenti questo lembo del Torinese ha rappresentato un’importante esperienza di aggregazione politica dal basso nel campo della sinistra extra-parlamentare: a tutto tondo, anche con un paio dei suoi figli entrati in Prima Linea e poi per anni incarcerati.

Intanto, fin dagli anni ’60, la crisi di alcune aziende manifatturiere (Cotonificio Valle Susa) aveva già dato inizio, qui più precocemente che altrove, ad un processo di deindustrializzazione che ha generato lotte socialmente aggreganti in difesa del posto di lavoro ed al contempo ha posto drammaticamente l’interrogativo sulle prospettive future del territorio. A quel punto il destino della valle poteva reincamminarsi verso un’economia di valorizzazione delle produzioni agro-silvo-pastorali tipiche (ma a quei tempi ciò era culturalmente considerato un regresso), oppure verso la trasformazione in anonimo corridoio di transito: l’idea progettuale di attraversare la valle con un’autostrada verso la Francia era già all’ordine del giorno.

L’alta valle delle stazioni sciistiche (dove impazzava quel boom edilizio delle seconde case che porterà allo scioglimento del Comune di Bardonecchia per infiltrazione mafiosa) vede con favore la nuova infrastruttura che “l’avvicina” alle grandi città del nord Italia ed alla stessa Francia; la bassa valle sa che ne ricaverà solo inquinamento dei TIR, scempio del paesaggio ed esproprio di fertili terreni pianeggianti che scarseggiano.
Nella battaglia contro l’A32 prende corpo la coscienza ambientalista, che va ad arricchire di valori i cittadini attivi, di sinistra o cattolici; anche molti sindaci si oppongono, ma alla fine la resistenza della bassa valle sarà sconfitta ed avrà il danno temuto più la beffa di compensazioni promesse e non mantenute, di ripristini ambientali mai realizzati. Il “mediatore” che convinse uno ad uno i sindaci con le sue promesse era un architetto con in tasca la tessera del PCI, un certo Mario Virano che poi diventerà amministratore delegato della Sitaf, società di gestione dell’arteria.

 

Il movimento NO-TAV: un parto spontaneo

Tutti gli affluenti di partecipazione che hanno percorso la società civile attiva in valle convergeranno a dare linfa all’embrione NO-TAV; la lunga lotta degli anni 80 contro l’autostrada, la sconfitta e le beffe lasciano in eredità molti insegnamenti, alla popolazione ed agli amministratori locali. Quando, nel 1989, viene lanciata l’idea di una nuova ferrovia ad alta velocità lungo il solito corridoio i primi NO-TAV sono già in piedi: tra loro molti di coloro che ancora oggi, dopo più di 20 anni, sono tra i protagonisti più noti del movimento.

Il Comitato Habitat è la prima forma di auto-organizzazione su questa tematica. Il suo merito è di aver saputo dare il via ad una aggregazione di cittadini, amministratori locali e tecnici di varie discipline contro i progetti dell’opera: è questa “trinità” che rappresenta il carattere originale del nascente movimento, in confronto a molti altri.
Nessuna struttura gerarchica, nessuna delega alla politica, ma trasversalità, partecipazione dal basso ed inclusione: sono questi gli ingredienti istintivamente portati ad amalgama. Massima diffusione delle conoscenze su progetti, rischi, costi locali e generali: la popolazione deve essere pienamente consapevole e decidere il proprio futuro. Una specie di scuola serale, anno dopo anno, informa e forma; spiega i retroscena ed aggiorna senza mai smettere: la popolazione risponde e l’aggregazione cresce nel tempo. Non ci sono altri segreti.

 

Oltre i confini della valle, oltre la tematica TAV

Dopo infinite proposte di tracciato, il primo vero progetto della linea (2002-2003) descrive, esso stesso, un impatto fortissimo sulle risorse ambientali (acqua) e la salute dei viventi (amianto, uranio, polveri e gas).
Il movimento costruisce i primi presidi sul territorio, punti di vigilanza e di incontro; da allora in poi saranno un’altra chiave di volta dell’aggregazione, questa volta anche di molte realtà esterne alla Valsusa.
Nel 2005 le vicende di Venaus, la prima militarizzazione dei luoghi, la notte dei manganelli, la riconquista dei terreni occupati portano il movimento NO-TAV alla ribalta nazionale. Nasce la rete del Patto di Mutuo Soccorso con tantissime realtà italiane impegnate nella difesa dei territori e dei beni comuni: un’eccezionale scambio di esperienze, di energie e di affetto. L’esperienza valsusina è vista da molti come un esempio da imitare, la dimostrazione che resistere è possibile, una speranza per tutti.

La scuola permanente di formazione si arricchisce di molte nuove materie, che diventa necessario conoscere dopo aver toccato con mano che il TAV non è solo un’infrastruttura, ma un paradigma di sviluppo neoliberista con implicazioni su più piani, dalla finanza globale all’economia locale, alla qualità di vita spicciola, alla stessa democrazia: tutti contesti già entrati in un percorso di deriva.  E allora si studia e sperimenta di economie alternative, di energie rinnovabili, di democrazia partecipata e di decrescita.
Dall’Italia e dall’estero nuovi docenti, intellettuali, ricercatori si avvicinano al movimento e portano il loro contributo di conoscenze ed analisi; quasi sempre rimangono affascinati e tornano ancora oggi. Si chiama sempre movimento NO-TAV, ma ormai è qualcosa di più.

Arrivano da più parti visitatori, singoli o in gruppo, che restano subito contagiati dalla natura autenticamente popolare ed inclusiva di questa originale socialità. Qualcuno viene con la pretesa di dare una sua ricetta vincente sul piano dell’organizzazione o delle forme di lotta; qualcuno vuole usare il movimento per i suoi scopi, spostarlo sul proprio terreno: nessuno viene respinto, ma qualsiasi sia la dose di carisma espresso lo si fa sentire alla pari di tutti gli altri. Molti capiscono che nessuna ricetta verrà presa in blocco, che si esige rispetto; chi è animato da disponibilità genuina allo scambio sviluppa un legame autenticamente affettivo e finisce per comportarsi, in valle, secondo le decisioni del movimento, chi è incapace di affetto e vuole imporre i propri metodi forse riesce a farlo qualche volta, ma poi se ne va.

Intanto, dal 2006 in poi, è andato in scena un finto dialogo tra le istituzioni e la Valle, alla fine aperto solo a chi è favorevole all’infrastruttura: carte truccate, confusione voluta sui costi, illusionismo mediatico. Non stupisce: il commissario governativo alla Torino-Lione, confermato dai governi di diverso colore è di nuovo Mario Virano. Il progetto cambia sì tracciato, ma le implicazioni sui vari piani non mutano granché ed i presupposti della lotta di opposizione sono gli stessi anche oggi. I sindaci (23 su 43), rappresentativi dei loro elettori, continuano con coerenza la loro battaglia di dignità, nonostante manovre politiche degne di un neo-maccartismo che tendono a metterli fuori gioco.

 

Dove si andrà a parare

E chi lo sa? Costruiamo insieme una prospettiva.
Negli anni 2000 molto è peggiorato per il 99% della popolazione nel nostro Paese e non solo: minor giustizia sociale, nessuna prospettiva di lavoro vero, crisi del debito pubblico, scadimento culturale imposto, militarizzazione delle menti, progressiva sottrazione di diritti e democrazia... I poteri forti delle banche si sono fatti oligarchia di governo, i partiti erano già diventati esclusive macchine di potere e ora queste paiono inceppate, inservibili, da rottamare. I correttivi anticrisi a livello nazionale e continentale in realtà confermano sostanzialmente i meccanismi che l’hanno prodotta, si genera altro debito pubblico a vantaggio solo dell’immediato tornaconto privato dell’1% sempre più ricco.

In un panorama in cui vari paesi europei tra cui il nostro possono essere considerati a rischio dittatura, come profetizzare l’evoluzione della vicenda? Il merito non potrà certo prescindere dal contesto, ma è ben arduo prevedere la reciproca influenza.
Tutta la casta (e le cosche) sono per realizzare comunque l’opera; quello che viene messo in campo dal potere formale è l’affidamento all’esercito della garanzia di costruzione e il movimento di opposizione dichiara di non voler cedere (e non cederà).
Questo non significa che ci sarà “un’ora x” per la resa dei conti, muro contro muro, per decidere se si fa o non si fa il TAV in val di Susa; piuttosto l’opposizione mira a durare negli anni, anche altri 20, opponendo muri di gomma, riposizionandosi ed imparando a muoversi con resilienza in spazi di democrazia ed agibilità anche progressivamente più stretti. Questo significa “la Valle resiste e non si arrende”.

Poi, certo, molto dipenderà anche da come la generalità degli Italiani reagirà ad una crisi economica, morale e democratica che sulla pelle nei fatti si fa sempre più pesante, nonostante il teatrino dello spread.

 

A cura di Paolo Mattone, del Comitato No Tav Torino