Una farsa tragica che dobbiamo evitaredi Cesare Martinetti da La stampa del 04-10-2013 - Editoriale
Si può - si deve - continuare a ragionare anche di fronte a un pacchetto di esplosivo che poteva uccidere. Né un articolo di giornale né un bel discorso riusciranno a disarmare chi è deciso a fare delle armi il suo strumento di rapporto con il mondo. E dunque queste righe sono dedicate a chi invece pensa che nella nostra società sia legittimo opporsi con le normali armi della critica: parole, scritti, manifestazioni. Ecco, chi la pensa così sappia che noi qui a «La Stampa» la pensiamo allo stesso modo e dunque difenderemo sempre questo diritto. Chi manda in giro pacchetti esplosivi, invece, vuole uccidere questo diritto e far tacere chi lo difende.
Un paio di settimane fa abbiamo scritto che in Valsusa una certa pratica terroristica è già in azione. L’attentato fortunatamente fallito al collega Massimo Numa – al quale va la nostra incondizionata solidarietà -, dimostra che avevamo ragione. Lo diciamo senza compiacimento. Non abbiamo mai avuto nessuna intenzione di soffiare sul fuoco. Semmai di spegnerlo. Ma quando intorno a quel cantiere accade che imprenditori e lavoratori vengono minacciati, i macchinari incendiati, le strade controllate, i giornalisti schedati e intimiditi, una forma di terrorismo è già in azione, mescolata in un singolare cocktail con pratiche mafiose di controllo del territorio. E di questo si deve ragionare.
Tutto ciò assomiglia – ma ne è una tragica caricatura – a quanto accadeva all’inizio degli anni di piombo: uno stato di insicurezza diffusa, un’atmosfera minacciosa mirata. Avendo vissuto quegli anni e sapendo come ne siamo usciti abbiamo il dovere di evitare che si compia la tragica e farsesca ripetizione. I terroristi allora hanno perso perché si sono trovati soli con i loro miserabili proclami. I mittenti dei pacchetti esplosivi devono sapere, di più, devono sentire che non ci sono ambiguità tra chi legittimamente si oppone alla Tav.
Questo cantiere è diventato un luogo esageratamente simbolico, un totem, un feticcio. Un luogo di riscatto per rancori personali e collettivi, grottesco palcoscenico per anziani professori e vecchi aspiranti rivoluzionari che ora esibiscono – lo ha fatto Erri De Luca pochi giorni fa in un’università – il piacere della partecipazione a un sabotaggio simile al brivido provato anni fa nell’accarezzare la P38, senza peraltro aver avuto il sinistro coraggio di usarla.
Questa retorica penosa e pelosa allarga e alimenta un margine di equivoco che legittima la viltà dei fabbricatori di pacchetti esplosivi. I quali, devono sapere, non avranno nemmeno il piacere della solidarietà di questi cattivi maestri, perché saranno i primi a nascondere i segni delle loro colpe.
È tutto chiaro, le responsabilità di ciascuno sono davanti a tutti. |