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Scandalo Tav, truccate le analisi sulle terre di scavo fiorentine

 

di Franca Selvatici per Repubblica da l’Altracittà 07-02-2013
http://altracitta.org/2013/02/07/scandalo-tav-truccate-le-analisi-sulle-terre-di-scavo-fiorentine/

 

Le analisi sulle terre di scarto della fresa Monna Lisa sarebbero state taroccate. E’ quanto emerge dalla inchiesta dei pm Giulio Monferini e Gianni Tei e dei carabinieri del Ros sui lavori del passante ferroviario fiorentino dell’alta velocità. Secondo le accuse, non è affatto vero che gli additivi usati per lo scavo sono innocui e biodegradabili.

 

Scrivevano il professor Stefano Grassi e l’avvocato Jacopo Sanalitro nel ricorso presentato al Tar per conto di Rete ferroviaria italiana il 13 novembre scorso: «Gli additivi utilizzati per lo scavo con la fresa Epb si biodegradano per oltre il 90% in pochissimi giorni. Si tratta di sostanze che non recano alcun pregiudizio per l’ambiente, sia in ragione della loro composizione chimica sia in ragione della loro pressoché totale biodegradazione». Il ricorso mirava a porre fine alle esitazioni della Regione Toscana riguardo alla natura delle terre e delle rocce che la talpa Monna Lisa si apprestava ad estrarre dalle viscere di Firenze e che, secondo i progetti, dovrebbero finire a Cavriglia per realizzare la «collina schermo» di Santa Barbara.

 

Gli avvocati non potevano saperlo, ma l’inchiesta sui lavori del passante solleva serissimi dubbi sulla correttezza di quelle analisi tanto rassicuranti sulla natura innocua degli additivi e sulla loro biodegradabilità, sulle quali si fondano sia le decisioni della commissione di valutazione dell’impatto ambientale (Via) del Ministero, sia il piano di utilizzo delle terre (Put) depositato il 15 gennaio 2013, due giorni prima del sequestro probatorio della talpa Monna Lisa. Se, come si ricava dalle intercettazioni, esse sono state veramente taroccate, sia la valutazione di impatto ambientale che il Put risulteranno inattendibili e inutilizzabili.

 

La commissione ministeriale ha basato il suo parere finale, emesso il 6 luglio 2012, sullo «Studio sulla biodegradabilità dei tensioattivi in terreni» del 6 giugno 2011 del Laboratorio Neosis di Moncalieri e sulle relazioni di alcuni docenti universitari. Alla luce di quei risultati ha riconosciuto la riutilizzabilità del materiale di scavo, escludendone la natura di rifiuto. E ha concluso in questi termini: «E’ normale prassi tecnica delle escavazioni con frese di tipo Epb immettere schiume direttamente al fronte, durante lo scavo… L’aggiunta di tensioattivi e polimeri, ma non di bentonite, non altera le caratteristiche chimico-fisiche delle terre scavate dalla fresa, che rimangono idonee qualitativamente per un uso diretto. La presenza nelle terre di detti additivi non supera le soglie di concentrazione limite previste dalla legge e non le rende ambientalmente incompatibile con il sito di destinazione. Il loro riutilizzo è effettuato in maniera da garantire la tutela ambientale in quanto non contaminanti, così come risultato dalle specifiche analisi condotte dal proponente. Il loro utilizzo integrale è possibile senza necessità di preventivo trattamento o di trasformazioni preliminari».

 

Quegli stessi documenti portati all’esame della commissione Via, e ritenuti dai legali di Rfi «atti a dimostrare, senza ombra di dubbio, la non pericolosità e la biodegradabilità» delle sostanze chimiche usate nei lavori della talpa, sono stati in seguito utilizzati per il Piano di utilizzo delle terre presentato in novembre da Nodavia (la società appaltatrice del passante fiorentino) e approvato dal Ministero dell’ambiente il 15 gennaio scorso. Due giorni più tardi il decreto di sequestro d’urgenza dei pm ha svelato che la Monna Lisa era stata montata male («un lavoro fatto con i piedi »), con guarnizione non idonee, e che perdeva olio.

 

E le intercettazioni documentano il «gioco di squadra» — coordinato, secondo le accuse, da Maria Rita Lorenzetti, la ex presidente Pd della Regione Umbria, oggi presidente di Italferr, la società di progettazione del Gruppo Ferrovie — per attestare la natura innocua degli scarti e la loro declassificazione da rifiuti a sottoprodotti. Ma — accusa la procura — la «squadra» sapeva che il prodotto dello scavo è «un fango melmoso e contenente tensioattivi e glicole», sostanze che «potrebbero essere incompatibili con l’ambiente e con la messa a dimora nel sito di Santa Barbara, ove la collina da realizzare con quegli scarti si posizionerebbe in prossimità di un bacino idrico».