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La Trattativa e l’ombra dei servizi

 

di Livio Pepino da Narcomafie del 27/09/2012
http://www.narcomafie.it/2012/09/27/la-trattativa-e-lombra-dei-servizi/

 

C’è, di nuovo, polemica intorno alla magistratura, alle sue competenze, alle sue asserite esorbitanze, ai suoi presunti eccessi. Questa volta la polemica è esplosa a seguito degli sviluppi delle indagini palermitane sulla cosiddetta trattativa, intercorsa nei primi anni Novanta tra lo Stato e Cosa nostra, e del conflitto, sollevato dal Capo dello Stato di fronte alla Corte costituzionale in merito al trattamento da riservare a sue conversazioni telefoniche captate nel corso di intercettazioni disposte nei confronti di altri (nella specie il senatore Nicola Mancino).

La polemica interviene in un momento delicatissimo e rischia di far passare in secondo piano due scadenze giudiziarie che propongono una rilettura di pagine consistenti del grande libro degli intrecci tra mafie e potere e dell’intervento giudiziario al riguardo: la nuova indagine sull’omicidio di Paolo Borsellino e sulla strage di via D’Amelio e la chiusura delle indagini per la citata trattativa (con le omissioni e le compromissioni che l’hanno caratterizzata).

Il processo per l’omicidio del dottor Paolo Borsellino (quello sviluppatosi nei cosiddetti Borsellino e Borsellino bis) è stato – possiamo dirlo con tranquilla certezza pur in attesa del giudizio di revisione – un processo truccato. Lo afferma la Procura generale di Caltanissetta nella richiesta, inoltrata il 13 ottobre 2011 alla Corte di appello di Catania, diretta a ottenere la revisione del processo per undici condannati come autori materiali o partecipi della strage; lo avvalorano le conseguenti scarcerazioni disposte dalla Corte di appello di Catania il successivo 28 ottobre (in attesa dei necessari seguiti processuali); lo documentano la memoria della Direzione distrettuale antimafia di Caltanissetta allegata alla richiesta (riepilogativa di tre anni di indagini), i fatti ivi ricostruiti e le dichiarazioni riportate, anche autoaccusatorie, del collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza; lo conferma l’emissione da parte del Gip di Caltanissetta di ordinanza di custodia cautelare in carcere, eseguita l’8 marzo 2012, per quattro nuovi imputati di strage: il boss Salvatore Madonia e, con lui, Gaspare Spatuzza, Vittorio Tutino e Salvatore Vitale (in precedenza mai lambito dalle indagini seppur notoriamente legato a Cosa nostra e residente nel condominio di via D’Amelio dove abitava la madre del dottor Borsellino…); e, ancor più, lo dimostra l’inconsistenza – alla luce di una analisi spassionata – della costruzione accusatoria edificata sulle dichiarazioni dei (falsi) pentiti Vincenzo Scarantino e Salvatore Candura, con la regia del dottor Arnaldo La Barbera (il superpoliziotto incaricato dal capo della Polizia di coordinare le indagini sulle stragi e ben incardinato – ora lo sappiamo – nel Sisde) e con la successiva ratifica di ben sei collegi giudicanti. Se tutto questo sia accaduto per superficialità, per eccesso di zelo nel trovare (comunque e presto) dei colpevoli o per fini inconfessabili (comprensivi anche della copertura di responsabilità nell’omicidio estranee a Cosa nostra, come adombrato nella memoria della Dda di Caltanissetta) non è dato oggi sapere.

È qui che si inserisce – intrecciandosi con le anomalie del processo per la strage – la vicenda della trattativa intercorsa tra lo Stato e Cosa nostra nei primi anni Novanta: forse per interrompere la strategia stragista (che inizia non già, come talora si dice, nel 1993 ma l’antivigilia di Natale del 1984 con l’attentato al treno rapido 904 in viaggio da Napoli a Milano), forse per propiziare la cattura di alcuni capi latitanti da decenni, forse per ridisegnare i rapporti tra mafia e politica, forse per ambizioni e concorrenza di apparati. Anche qui non è dato sapere. Ma quel che è certo è che trattativa c’è stata (come accertato sin dalla sentenza 6 giugno 1998 della Corte di assise di Firenze, secondo cui i colloqui tra gi ufficiali dei carabinieri Mori e De Donno e l’ex sindaco mafioso di Palermo Vito Ciancimino «avevano tutte le caratteristiche per apparire come una “trattativa” e l’effetto sui capi mafiosi fu quello di convincerli, definitivamente, che la strage [di via dei Georgofili, ndr] era idonea a portare vantaggi all’organizzazione); che in essa si inserirono vicende inquietanti (come quella della mancata perquisizione del covo di Riina dopo il suo arresto); che essa vedeva la ferma e intransigente opposizione di Paolo Borsellino.

Si tratta di vicende per le quali occorre attendere le verifiche giudiziarie, nella speranza che siano rapide e rigorose. Nell’attesa, peraltro, è difficile non condividere un’amara considerazione svolta da Enrico Deaglio nel recente Il vile agguato. Chi ha ucciso Paolo Borsellino. Una storia di orrore e di menzogna (Feltrinelli, 2012): «In realtà, più che i mafiosi stessi o i politici corrotti, sono gli onnipotenti servizi i protagonisti dell’ultima stagione di narrazione della mafia. Sono i depositari di una verità che, ovviamente, non si saprà mai, perché i mafiosi si pentono, crollano, parlano (il problema, casomai, è fermare la loro loquela, prima che facciano danno), i politici si spaventano, i banchieri vengono ammazzati, ma la baracca la tengono in piedi loro, i Servizi».