La P3, la P4 e quei milioni regalati: la pista del denaro porta al Cavaliere
Sei procure, sei filoni d'indagine, migliaia di pagine agli atti. Tutte le inchieste che negli ultimi mesi hanno intrecciato il mondo della politica hanno un filo conduttore comune. Fatto di bonifici, assegni e faccendieri
di Concita De Gregorio da
Repubblica del 29/8/11
http://www.repubblica.it/politica/2011/08/29/news/denaro_berlusconi-20987420/
Quello che abbiamo smesso di chiederci è perché, per conto di chi. Assuefatti all'omeopatico dilagare della corruzione che ha trasformato l'Italia nel paese del "che male c'è, così fan tutti", tutti colpevoli nessun colpevole, scivoliamo distratti sui resoconti di giornata dei giornali, tanto si sa come va il mondo.
Sei Procure, sei filoni di indagine, migliaia e migliaia di pagine agli
atti. Berlusconi ha regalato a Dell'Utri dieci milioni di euro? Un uomo
generoso, beato lui che ce li ha. Angelucci ha estinto il mutuo da otto milioni
di Denis Verdini? Ah. Walter Lavitola, curatore testamentario della un tempo
gloriosa testata L'Avanti! paga uno stipendio mensile al procacciatore di
protesi e di prostitute Tarantini, rimborsato dal presidente del Consiglio? Era
prevedibile, Tarantini del resto ("le donne e la cocaina favoriscono
gli affari", un maestro del pensiero) in qualche modo doveva essere
messo in salvo. Meglio soldi che un seggio in parlamento, in fondo.
Fu Verdini ad avvisare Caldoro, allora candidato alla presidenza dalla
regione Campania, che c'era un dossier "tipo Marrazzo" sul suo conto?
Gentile. Del resto fu Berlusconi in persona ad avvisare Marrazzo. Voleva
aiutarlo, certo. Un gruppo di faccendieri scambia le sorti politiche di Cosentino
con la legge sull'età pensionabile dei giudici. Normale. Si attiva per far
pagare alla Mondadori solo il 5 per cento di quel che deve alla Agenzia delle
entrate? Gianni Letta segue la vicenda di persona? Vabbè, se è per pagare di meno, chi non lo farebbe, potendo.
Ecco, bisognerebbe ritrovare lo stupore, almeno. Se non
l'indignazione la consapevolezza dell'enormità di ciascuna di queste notizie.
Ricominciare a chiedersi: ma perché? Per conto di chi? Il Grande Corruttore ha
comprato ogni cosa, persone e beni, ha disinnescato alla fine l'unica arma per
lui davvero letale: l'intelligenza, la capacità di ciascuno degli italiani di
darsi risposte in proprio, senza delegare.
Eppure non è difficile, basterebbe riportare tutto alla dimensione
propria e ragionare sui soldi. Come se fossero i nostri, i vostri. Può una
persona che guadagna 4000 euro al mese, come dice di sé uno degli indagati P3,
spenderne 1000 per invitare ogni giovedì a cena degli amici? Non può, voi non
potreste.
Dunque chi lo ripaga, per conto di chi lo fa, e perché? Quando
qualcuno vorrà scrivere finalmente in chiaro la storia di come affondò nel
pantano da lui stesso progettato l'impero di Silvio B. dovrà raccontare non di
donne e di magio e, il collante del ricatto che tutti ammutolisce. Vediamo.
I PRESTITI INFRUTTIFERI
Vuol dire regalo. Non rendono niente, soldi a perdere. Abbiamo qui, venti pagine di relazione della GdF, la relazione sui soldi regalati negli ultimi tre anni da Berlusconi a Dell'Utri. Dieci milioni in tre parti: il 22 maggio 2008 attraverso il Monte dei Paschi, filiale di Segrate (la stessa che stipendiava le Olgettine), febbraio e marzo 2011 su Banca Intesa. Coprono uno scoperto di oltre 3 milioni di euro di Dell'Utri, e sette avanzano.
A cosa servono quei soldi? Perché il presidente del consiglio in
carica finanzia con una somma così ingente un suo vecchio amico, certo, un uomo
che in questo momento non ha altri incarichi se non la presidenza dei Circoli
del Buon Governo, ironia delle parole, oltre ad una condanna per concorso
esterno in associazione mafiosa? Il procuratore Giancarlo Capaldo ha chiesto lo
stralcio di questa parte dell'inchiesta P3. Il resto andrà a giudizio a metà
ottobre, sui bonifici si continuerà ad indagare. Capaldo si è chiesto perché,
in definitiva.
Si deve lavorare ancora per spiegare perché, in cambio di cosa
Berlusconi paga l'uomo che gli presentò lo stalliere Mangano. Immaginarlo,
indovinarlo non basta a certificare che si tratta di un compenso. Nel faldone
bonifici c'è un'altra vicenda per lo meno curiosa: villa Gucci a Firenze,
comprata da Denis Verdini per 8 milioni di euro - che non aveva - e in effetti
pagata in tre rate dal re delle cliniche private Angelucci, denaro transitato
da una società Lussemburghese sulla filiale Roma 5 del banco di Brescia.
Perché Angelucci paga i debiti di Verdini? Non basta accertare il
passaggio di denaro, bisogna "chiarire senza equivoci la natura dello
scambio". In questo caso, lo scambio tra due uomini che si sono fatti
da soli, proprio come il Principale. Un ex portantino del San Camillo il primo,
il titolare di una macelleria divenuto presidente di banca, Credito cooperativo
fiorentino, il secondo.
Un miglioramento di status, quello di Verdini, che si riverbera
anche nella natura dei reati che negli anni, una ventina di procedimenti, gli
sono stati contestati. Dallo stupro alla concussione, che è più elegante.
Chissà quanti bei ricordi di gioventù, con l'ex barelliere Angelucci, tra un
passaggio di milioni e un altro. E comunque perché corrono questi denari e
favori? Nell'interesse di chi?
I LUOGOTENENTI
C'è qualcuno che
comanda, qualcuno che esegue gli ordini o addirittura li indovina, addestrato a
prevenire i desideri. La storia del Grande Corruttore passa per le vicende dei
suoi uomini, quelli che si sporcano le mani e qualche volta le lasciano in
pasta, il sentimento di impunità e di onnipotenza essendo lo spirito del tempo.
Le inchieste di questa stagione passano di qui, conviene conoscerli.
Sono, dirà la storia, tre modesti faccendieri. Quello di
Berlusconi si chiama Denis Verdini, era in principio un macellaio di Fivizzano,
divenne infine il dominus della sorte politica del suo signore per via dei
denari, ovviamente: aveva una banca, teneva i cordoni della borsa e le fila dei
moltissimi famigli e questuanti, dei finanziatori venuti da lontano, dalle
epoche sepolte del craxismo degli esordi, delle massonerie degli affari, dei
faccendieri piduisti da cui tutta questa storia trae origine.
Poi c'è Luigi
Bisignani, in stretti rapporti con Gianni Letta: era un ragazzino all'epoca di
Licio Gelli, è un crocevia degli affari trent'anni dopo.
Il luogotenente di Tremonti è Marco Milanese, irpino di Cervinara,
una laurea assai tardiva, ombra silenziosa e avida del ministro dell'economia.
Le sei inchieste che nel 2011 minano come cariche di tritolo
l'edificio già pericolante del Sistema si occupano di loro: i lobbisti a capo
di una corte di figurine minori - Fofò, Mimì, Gegè, magistrati e presidenti,
imprenditori e aspiranti scudieri - che parlando stretto dialetti di diversi
entroterra si riuniscono indifferentemente tra gli stucchi di palazzo Pecci
Blunt o sotto una tettoia di un'area di servizio autostradale, fanno a gara ad
acquisire credenziali presso "Cesare", lo chiamano così, l'imperatore
che tutto muove, per passare poi all'incasso.
Premono sulle corti di giustizia per favorire il lodo Alfano,
dunque la di lui impunità; facilitano la nomina di un magistrato amico;
fabbricano dossier su un candidato nemico, governano miliardi di appalti pubblici,
si regalano barche, macchine e ville, se il mutuo è scoperto arriva presto un
imprenditore in debito di gratitudine ad estinguerlo.
Sei inchieste: Milano, Monza, Firenze, Perugia, Napoli, Roma. E
sullo sfondo la guerra per la successione: Gianni Letta e Giulio Tremonti, gli
eredi naturali, si contendono da mesi, in verità da anni, l'eredità del
berlusconismo. Letta è l'Andreotti del Duemila. Ecumenico, trasversale, amico
di tutti, destra e sinistra, mediatore congenito fin dal tono di voce. Tremonti
è l'uomo del Nord, pratico, antipatico, sodale della Lega di Bossi, la foglia
di fico efficiente - a suo modo - in un governo di ventriloqui di modesta
competenza. L'uomo dei conti.
E' dunque la storia, questa, della guerra fra Letta e Tremonti:
una battaglia che oggi, estate 2011, li vede entrambi in ginocchio, azzoppati
dalle inchieste in procinto di andare a dama. Fra settembre e ottobre le
procure depositeranno le richieste di rinvio a giudizio dei loro uomini. Il
pallino torna nelle mani di Silvio B., Cesare ormai diffidente di entrambi,
mentre l'impero costruito negli anni Ottanta sul mattone e poi sulle tv,
diventato infine politica allo scopo di mantenere intatte ricchezze e
privilegi, tutto intorno si sfarina.
GLI ASSEGNI
La storia è scritta in un vortice di assegni e bonifici firmati da Berlusconi nell'arco di trent'anni. Il primo riemerge dalle nebbie degli esordi, è nelle mani dell'avvocato Stefano Gullo da Agrigento, classe 1923, biografia che incrocia quella di Sindona negli anni della P2. Gullo prestò, allora, un miliardo di lire a Flavio Carboni e Silvio Berlusconi ottenendo in cambio come garanzia assegni da non incassare. Non ha recuperato che 200 milioni, oggi reclama il resto esibendo - appunto - gli assegni firmati Berlusconi. Gli ultimi sono i bonifici di Berlusconi a Dell'Utri di cui si diceva. Prestiti infruttiferi.
Le carte sono agli atti, le fotocopie degli assegni e gli estratti
conto in uno dei faldoni sulla scrivania del procuratore Giancarlo Capaldo. P4,
P5, P55. Potremo andare avanti all'infinito ma la storia è sempre la stessa. Il
sistema è quello, e non è neppure nuovo. Ricordate Evangelisti, "a Frà
che te serve?". Era così ai tempi di Andreotti, che del resto è ancora
assai presente sulla scena, è così oggi. Solo: a beneficio di un uomo solo.
Possiamo chiamarla P5 o P55 ma per capire il senso della sigla
bisogna risalire alla P2, in fondo anche Licio Gelli era un impiegato della
Permaflex, Berlusconi allora un giovane affiliato alla Loggia. "Dovrebbero
pagarmi i diritti d'autore", disse Gelli anni fa a proposito di
Berlusconi e Cicchitto. Più di recente, dei nuovi faccendieri sulla scena:
"Dilettanti".
Anche Berlusconi ha detto di loro "pensionati sfigati".
Della sfortuna si può discutere, che siano pensionati è una menzogna. Flavio
Carboni, signore di Sardegna, viene direttamente dagli anni di Andreotti e di
Sindona, crocevia di morti sparizioni e misteri. Arcangelo Martino, socialista
napoletano, viene dagli anni craxiani del Raphael. Fu proprio al Raphael,
racconta, che presentò negli anni Ottanta a Berlusconi il suo collaboratore
Elio Letizia, presente Craxi. Elio Letizia, padre di Noemi. Ricordate cosa
disse Berlusconi il primo giorno? "E' la figlia dell'autista di Craxi".
Non proprio l'autista, qualcosa del genere.
I soldi, di nuovo - non le donne - sono la pista. I soldi e gli
affari. Soldi di antica origine, debiti e sodalizi vecchi di decenni. Le radici
alle origini. I frutti, poi, sono i Tarantini di Puglia, gli imprenditori sardi
dell'eolico, gli Anemone dei grandi appalti e delle case ad altrui insaputa. E'
come se sulla scena delle inchieste, oggi, ci fossero la prima e la terza
generazione di affaristi. I "pensionati" della Prima repubblica e i
giovani affaristi rampanti dell'ultima. Un passo indietro, nell'ombra, la
generazione di mezzo quella delle grandi fortune: il ragazzo sveglio di allora,
anziano Cesare oggi.
UNA SOLA STORIA
Il "sistema gelatinoso" dei grandi appalti, la fabbrica del fango della P3, le pressioni sui magistrati e sulla Guardia di Finanza della P4: è una sola unica storia, la storia della corruzione eletta a sistema. Quando Caldoro dice: "Mi convocò Verdini alla Camera, mi disse che c'erano storie di sesso sul mio conto. Mi disse che si sentiva in dovere di informare Berlusconi" siamo tutti in grado di leggere il sottotesto di queste parole.
Perché, in favore di chi? E quando si incontrano poi a casa
Verdini per definire la candidatura di Arcibaldo Miller, l'interessato
presente, Dell'Utri e Carboni. Per conto di chi? In un interrogatorio di sette
ore Verdini è chiamato a dar conto di 2 milioni e 600 mila euro transitati
dalla sua banca, in seguito oggetto di un'ispezione della Banca d'Italia che ne
denuncia le molte irregolarità e la condanna a pagare una multa. Soldi che
arrivavano da un imprenditore romagnolo dell'eolico, Fabio Porcellini. E
finivano dove? "A finanziare il Giornale", risponde Verdini.
Il Giornale di Paolo Berlusconi, edizione Toscana. E perché un imprenditore
dell'eolico con interessi in Sardegna, regione guidata dall'amico Cappellacci,
dovrebbe pagare i debiti del Giornale. Per favorire chi, oltre a se stesso?
NELL'OMBRA
Dice Arcangelo Martino di Pasquale Lombardi, il socialista e il democristiano
campani protagonisti dell'inchiesta P3: "Lombardi aveva rapporti con
Gianni Letta, più volte ho sentito le loro telefonate. Disse che stava
aggiustando la faccenda Mondadori perché fosse trasferita alle sezioni unite
della Corte". I nomi di Letta e di Tremonti - nelle 66mila pagine di
un'inchiesta, le 80mila di un'altra - compaiono così, interlocutori invisibili
all'altro capo del telefono. Beneficiari sedicenti inconsapevoli di
appartamenti di gran lusso, mandanti mai espliciti.
Cesare è il convitato di pietra. Quando in una nota in calce a uno
dei fascicoli resta l'appunto dei Carabinieri - "Cesare è il nome in
codice che gli interlocutori telefonici danno a Silvio Berlusconi" -
succede la fine del mondo. Per il metodo, non per il merito. Formalmente quella
postilla doveva essere secretata, è rimasta per errore.
Leggiamo dagli atti. La cricca si attiva per la riammissione della
lista Formigoni in Lombardia, per il dossier sul Caldoro che intralciava
Cosentino in Campania, per la nomina di Alfonso Marra e il tentativo di
candidatura di Arcibaldo Miller, questi ultimi magistrati perché le carte
pullulano di giudici non ascrivibili alle toghe rosse, al contrario, giudici
amici e compiacenti che volentieri partecipano a convegni 'all inclusive' nei
più esclusivi resort della penisola, paga Carboni, paga il presidente della regione
Cappellacci. Perché, nell'interesse di chi? Chi è l'utilizzatore finale?
CADUTI SUL CAMPO
Il primo a cadere, tra gli uomini di Gianni Letta è Guido Bertolaso, inviso assai a Tremonti. Il sistema gelatinoso degli appalti, il G8 e i mondiali di nuoto, Balducci, Anemone, De Santis, Della Giovanpaola, il procuratore Achille Toro, le aragoste per pranzo e l'eolico per cena, i centri benessere e gli evviva la notte del terremoto. Bertolaso declina.
Tremonti gioisce, ma subito l'inchiesta Finmeccanica - false
fatturazioni, fondi neri - in un filone secondario, Eurotec, porta in luce la
strana storia del suo consigliere Milanese. Questa è la vicenda di una barca ma
sullo sfondo c'è un giro vorticoso di benefici galattici, di regali stellari,
una vita vissuta nello sfarzo supremo mentre il paese intero si accinge a
metter mano al portafogli per risanare la voragine del debito in cui è
precipitato. Il ministro dell'Economia chiede enormi sacrifici agli italiani e
il suo braccio destro veleggia di regalo in privilegio.
Lui stesso, il ministro, abita un appartamento da Milanese
procurato. L'inchiesta, a parte i Rolex, parla di tre milioni e mezzo di
tangenti per assicurarsi appalti assai più redditizi. Letta assesta un colpo
alla Rai morente - perché, nell'interesse di chi? - piazza la cattolicissima
Lorenza Lei alla direzione generale piuttosto che il candidato di Tremonti,
Angelo Petroni. Subito Bisignani, uomo di fiducia di Letta a Palazzo Chigi, già
lobbista ai tempi del tangentone Enimont e delle vicende Ior-Vaticano, finisce
nell'inchiesta napoletana P4, altro giro di corruzione altre pressioni altri
regali.
Il 2 agosto l'aula di Montecitorio autorizza l'acquisizione degli
atti su Milanese (corruzione, associazione a delinquere, favoreggiamento) e non
per Verdini su cui pende una richiesta di rinvio a giudizio per tentato abuso
d'ufficio nella ricostruzione dell'Aquila. Un colpo a Tremonti, senz'altro:
Verdini salvo, Milanese no.
Il 3 agosto Capaldo lascia l'inchiesta Enav-Finmeccanica per la
storia del pranzo con Tremonti e Milanese , il 4 chiude le indagini sulla P3 e
stralcia la posizione Berlusconi-Dell'Utri quanto ai bonifici di cui sappiamo.
Su quelli si indagherà ancora. Intorno a Ferragosto emerge che Tarantini, il
procacciatore di prostitute pugliese, è pagato un tanto al mese da Walter
Lavitola, direttore de l'Avanti!, a sua volta rimborsato da Berlusconi. Per
cosa? "Per generosità, perché Tarantini era disperato",
risponde Cesare.
Lavitola, attivissimo nel procurare documenti sul caso appartamento
di Montecarlo-Gianfranco Fini nei giorni della rottura politica tra i due
fondatori del Pdl, conferma che si tratta di beneficienza. "Un uomo
disperato", Tarantini. I molti disperati d'Italia sanno ora a chi
rivolgersi. A patto di avere qualcosa da offrire in cambio, è ovvio. "La
generosità di per sé non è un reato, bisogna certificare con precisione in cosa
consiste il do ut des". Immaginarlo non basta. Un assegno, un
bonifico, un prestito infruttifero. Cesare paga, in questo scorcio di fine
epoca. Generosamente, "disinteressatamente".
Peccato per la concomitanza con la manovra, che gli italiani pure
pagheranno un conto. Che sappiano almeno con esattezza per coprire cosa, per
salvare chi. Il pantano è un pozzo senza fondo, non basteranno pochi miliardi a
risanarlo. Il Grande Corruttore sarà al sicuro fino al minuto esatto in cui non
cominceremo tutti a chiederci perché, a favore di chi. Senza lasciare alla
magistratura la supplenza, che prima del reato c'è il delitto politico. La
responsabilità morale e materiale dello scempio.