PROCESSI NO TAV
Tribunale e Cassazione bocciano le tesi di Caselli
Commento di Livio Pepino da Il Manifesto del 12/07/2012 – prima pagina
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Dopo mesi di processi sommari sui media, gli scontri della Val Susa nel corso di manifestazioni No Tav cominciano ad approdare davanti ai giudici. E il primo riscontro, relativo alle due ragazze arrestate e rinviate a giudizio per gli scontri del 9 settembre 2010, è una secca smentita della impostazione dell'accusa: Nina Garberi viene assolta per non aver commesso il fatto e Marianna Valenti, pur condannata, ottiene la sospensione condizionale della pena. Nina Garberi era imputata di violenza a pubblico ufficiale: mentre era stata abbandonata per strada l'originaria contestazione di avere, con un improvviso scarto durante l'inseguimento finalizzato all'arresto, provocato una distorsione a un ufficiale di polizia giudiziaria (sic!).
Non le era contestato alcun comportamento specifico aggressivo o violento ma era considerata responsabile perché - citiamo l'ordinanza - «è ragionevole ritenere che nel caso in cui avesse avuto intenzione di limitarsi a manifestare pacificamente, non appena la manifestazione ha assunto carattere violento si sarebbe allontanata. Il tornare presso il predetto varco dopo le cariche non è in alcun caso giustificabile neppure con l'intento di soccorrere eventuali feriti. Qualora l'intenzione dell'indagata fosse stata questa, la stessa non sarebbe stata in prima linea tra coloro che lanciavano sassi e artifici pirotecnici, indossando una maschera antigas, ma sarebbe stata ad una distanza di sicurezza e, pertanto, in una posizione in cui poter più agevolmente effettuare le operazioni di primo soccorso. Tale ricostruzione dei fatti, peraltro, è confermata anche dalla circostanza che la prevenuta è stata trovata in possesso anche di ben due paia di guanti da lavoro, di un paio di occhiali da tornitore e di tre foulard, ossia di oggetti rispettivamente idonei a raccogliere i lacrimogeni lanciati dagli agenti di polizia senza ustionarsi per gettarli nuovamente contro i suddetti, a proteggersi gli occhi dal lancio dei predetti lacrimogeni da parte degli operanti e a travisarsi. Tali beni, la cui disponibilità è astrattamente legittima, ben difficilmente vengono portati tutti insieme con sé da una persona che si accinge ad intraprendere una marcia pacifica» (ordinanza 22 settembre 2011 del riesame di Torino).
Il tribunale ha, evidentemente, ritenuto impropri tali argomenti in un sistema in cui - vivaddio - la responsabilità penale è personale (art. 27, comma 1, Costituzione). Inoltre, concedendo alla Valenti, incensurata, la sospensione condizionale della pena ha, quantomeno, gettato qualche ombra retrospettiva sulla avvenuta applicazione della custodia cautelare che (ai sensi dell'art. 275, comma 2 bis, codice proc. penale) «non può essere disposta se il giudice ritiene che con la sentenza possa essere concessa la sospensione condizionale della pena».
Non è una cosa da poco. E non basta. Mentre è in corso l'udienza preliminare per i fatti del 27 giugno e del 3 luglio 2011 alla Maddalena di Chiomonte sono arrivate davanti alla Corte di cassazione due delle 46 misure cautelari emesse nello scorso gennaio. Entrambe sono state annullate con rinvio. Segno che contenevano errori di diritto o che non erano congruamente motivate (ché sono queste soltanto le cause di annullamento previste dalla legge).
Un autorevole professore di diritto penale ci assicura, sulle pagine de La Stampa, che non è stato messo in dubbio l'impianto accusatorio: non so da dove tragga questa certezza, non essendo a tutt'oggi depositata la motivazione della sentenza, ma in ogni caso, che si tratti della qualificazione dei fatti o della applicazione delle misure cautelari, la suprema corte ha censurato le ordinanze dei giudici torinesi.
I vizi rilevati nella decisione di ieri del tribunale di Torino sono gli stessi che caratterizzano alcuni passaggi delle misure emesse per gli scontri appena ricordati. Basta considerare che nell'ordinanza del riesame del 13 febbraio 2012 si legge che «la partecipazione agli scontri, attuata sia con specifiche condotte violente, sia permanendo nel contesto degli scontri, all'interno dei gruppi attaccanti, non può non essere stata vissuta da ciascuno dei partecipanti con piena consapevolezza e volontarietà di cooperare nell'azione di scontro con le Forze dell'ordine presidianti» e che molti dei manifestanti erano del tutto incensurati e imputati di reati compatibili con la sospensione condizionale.
La decisione del tribunale di Torino e quella della cassazione (qualunque ne sia la motivazione) possono essere condivise oppure no. Altre ne seguiranno, magari di segno opposto. Credo che quest'ultima eventualità sia, anzi, probabile in una situazione di tensione come quella attuale e, in ogni caso, non credo nell'infallibilità di alcuno (neppure della Corte di cassazione).
Ma una domanda mi sembra doverosa, e non solo per i giuristi: di fronte a scelte opinabili (come quelle evidenziate da decisioni di segno opposto) non sarebbe meglio aprire una discussione serena e rigorosa anziché parlare di «attacchi» ai magistrati procedenti e cercare di ridurre al silenzio chi pone dei problemi? Se ne avvantaggerebbe, prima di tutto, la giurisdizione.
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