Lettera a Rettighieri, Direttore Generale Ltf
A MARCO RETTIGHIERI
Scegliemmo con cura quel luogo posto sul fronte di una frana sulla quale nel quinto millennio avanti Cristo si era installata una comunità di umani poi sepolta da una successiva frana e in su cui nei secoli successivi sempre fiorì la vita. Luogo principe per l’archeologia, unico per importanza in Europa. Luogo già violato in tempi contemporanei dalla brutalità cementifera dei piloni dell’autostrada inflitti proprio su quel fronte di frana.
Ne abbiamo fatto un luogo in cui ognuno avrebbe potuto raccogliersi in meditazione e preghiera; lì abbiamo ascoltato le riflessioni di persone che venivano da altri continenti e che lì spontaneamente erano convenute per capire quello che stava succedendo e volevano esserne testimoni. Molte persone lì hanno innalzato e offerto a Dio i loro cuori con le loro preghiere. Non si tratta di un’edicola religiosa. E’ un luogo che non ci appartiene più perché da noi è stato dedicato a Dio, alla Madre di Gesù ed ai suoi Santi. E’ vero, non è stato consacrato con l’olio come si usa fare con gli altari ma le lacrime, le speranze, le invocazioni di coloro che il Signore chiama gli ultimi ed i piccoli consacrano quello spazio.
La sua domanda al Vescovo non ha senso; Lei chiede che Egli gli indichi un luogo dove collocare l’edicola ma questa è sorta in un’area ora santa e il pilone ne evidenzia solo la sacralità dello spazio che lo circonda. Spostare l’edicola altrove è come tagliare la testa ad una persona, spostare la testa altrove e pensare che la persona sia là dove ora ne risiede la testa mozzata. La zona dove c’è l’edicola religiosa Lei l’ha acquisita con brutalità e violenza, manu militari, l’ha circondata di reti e filo spinato, la fa difendere da militari armati al fine di installare il suo cantiere. L’edicola le è forse d’ impiccio?
Lei ci ricorda un buon uomo che in quel di Romania non molto tempo fa, per celebrare i fasti del suo governo abbisognava di strade larghe e dritte nella sua Bucarest, la capitale; e siccome in natura la linea retta non esiste abbatteva le case che imbrogliavano il largo e spostava le chiese financo con il loro campanile che osavano opporsi al dritto. Ne spostò qualche dozzina di chiesette, celebrò i fasti del suo governo, affamò il suo popolo; e il suo popolo si ribellò. Il suo nome era Ceausescu. Né lui né sua moglie ebbero una morte serena.
Lei ci racconta che questi terreni, acquisiti con la forza, fra quattro anni saranno restituiti nello stato di fatto, senza specificare se nello stato ex ante o ex post. Noi lì avevamo piantato duemila piantine, un bosco stava crescendo; tutto è stato sradicato, ogni vegetale calpestato e abbattuto per la finale colata di cemento; questo è lo stato di fatto. Le credenziali del suo lavoro che finora ci ha presentato sono violenza e distruzione. E poi vuole spostare una edicola con una croce e quattro santi?
Siamo nel 2012. Si ricordi che ogni goccia d’acqua ha da essere usata con giustizia, quindi con parsimonia, perché ogni essere vivente animale o vegetale abbia a goderne; è la vita stessa che è fatta d’acqua. E l’acqua per la vita ha da essere pulita, non potabile. Quella con cui laverà i camion del cantiere non servirà più alla vita, porterà morte. Qui ci fermiamo per non continuare.
Le ricordiamo che esiste anche quella massima che i saggi hanno sempre praticato: “piuttosto che fare una cosa che potrebbe portare danno, calamità, ingiustizia, malattia od anche morte (e già tanti alberi sono morti, molti umani si sono fatti male e certamente ce lo dice Lei, nei suoi documenti, altri si ammaleranno e qualcuno morirà se questo progetto andrà avanti ) forse è meglio astenersene”.
Questa cosa viene chiamata obiezione di coscienza e rende umano l’agire. Clarea, 7 maggio 2012 |