L'insostenibile leggerezza dell'essere SI TAV
Si tratta di un evento piuttosto raro: chi sostiene posizioni a favore del progetto AV Torino-Lione in genere si sottrae al confronto sul merito delle questioni e declina quasi sempre l’invito. Le poche occasioni in cui il confronto avviene possono offrire un’opportunità a chi cerca seriamente di capire, e quando più il confronto-dibattito è pacato tanto maggiore è la probabilità che risulti utile a chi vuole farsi un’idea più precisa. E’ il caso dell’incontro recentemente promosso ad Aosta dalle strutture regionali dell’ARCI, del PD e di Legambiente che ha visto a confronto posizioni a favore e contrarie al TAV. Tra il pubblico numeroso non mancava chi voleva capirne di più.
“Per diventare notav basta essere onesti e informati”: è il filo conduttore dell’intervento del relatore che riporta le ragioni no tav puntando tutto sull’informazione volendo dare per scontata l’onestà di chi ascolta. Non mi soffermerò qui sugli argomenti illustrati dal relatore portatore delle posizioni si-tav: non perché non siano degne di attenzione ma semplicemente perché, non volendo fare un verbale dell’incontro, non sono rilevanti ai fini del racconto. Mi limito quindi a riconoscergli di aver mostrato rispetto per le posizioni non condivise: atteggiamento particolarmente apprezzabile con i tempi che corrono in dibattiti su temi “caldi”.
Poche settimane prima il governo Monti aveva pubblicato un documento in quattordici punti dal titolo: “TAV Torino-Lione, domande e risposte”. A quel documento aveva puntualmente replicato una commissione tecnica della Comunità Montana Valle Susa e Val Sangone che si è avvalsa della collaborazione di numerosi esperti esterni: economisti di fama mondiale, esperti di sistemi trasportistici, docenti universitari e tecnici che hanno firmato il documento di replica. Il senso del loro documento è presto detto: da un governo tecnico pretendiamo rigore e vogliamo un confronto vero sui costi, sui volumi e i flussi di traffico, sui dati ufficiali e così via (entrambi i documenti si trovano facilmente in rete)
Quale migliore occasione? Il relatore no tav mette a confronto i due documenti e ragiona soprattutto sui dati concreti mettendo da parte considerazioni più generali su modello di sviluppo, su democrazia nei processi decisionali, su partecipazione e negazione di diritti: rinunciarvi è un sacrificio, ma sa che rischierebbe l’accusa di un approccio “ideologico” e si concentra sui numeri. Per ogni dato, per ogni tabella, per ogni grafico il documento dei tecnici della Comunità Montana non manca mai di citare le fonti in modo che ognuno possa verificarne l’attendibilità. E il quadro che emerge è desolante: da una parte rigore, concretezza e coerenza, dall’altra approssimazione, errori e talvolta vistose bugie che il relatore non manca di sottolineare chiedendo se ciò sia accettabile. Solo per dare qui un’idea: laddove il documento del governo parla di spostamento delle merci da gomma a rotaia ipotizza una riduzione dei tir pari all’82% laddove il progetto ufficiale ne prevede il 12% (realisticamente sarebbe intorno all’1%...) e dove parla di sostenibilità energetica prevede un riduzione delle emissioni di gas serra… superiore al 100% e pari a 55 volte il totale delle emissioni! Uno studente del primo anno di liceo verrebbe bocciato senza appello.
Il relatore no tav ricorda poi come sia inaccettabile il fatto che l’economista Monti si rifiuti di presentare un’analisi costi-benefici e prende spunto da ciò per riportare un episodio raccontato in un recente libro da Ivan Cicconi: l’amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato, Mauro Moretti, aveva preso in giro nel 2007 una commissione del Senato riportando dati taroccati sui costi dell’alta velocità dichiarando 32 milioni di euro a chilometro (a fronte dei 9 della Spagna e dei 10 della Francia…) mentre in realtà erano oltre 63 (sessantatre!). Cicconi nel suo libro svela i trucchi di questo gioco delle tre carte.
Prima delle conclusioni il relatore si allontana solo per un attimo dall’analisi dei dati osservando che nelle prime cinque righe del documento del governo la parola “crescita” compare ben tre volte e nella prima pagina le parole “competitività” e “sviluppo” compaiono entrambe quattro volte: si chiede se in un momento di crisi in cui il paese è in recessione e ingenti risorse vengono sottratte alle pensioni, all’istruzione, alla sanità e allo stato sociale non ci si dovrebbe aspettare, a prescindere da ogni altra considerazione, qualche ripensamento sulla scelta di destinare tanti miliardi ad una infrastruttura progettata venti anni prima. Poi riprende il filo del suo ragionamento e arriva alla conclusione che i costi, a carico della collettività naturalmente, sono inaccettabili; poi ricorda che per fare un passo indietro, prima ancora dell’insostenibilità dei costi, dovrebbero bastare le prove che la nuova linea non serve: ne oggi né nei prossimi decenni. Perseverare sarebbe diabolico.
Quando si apre il dibattito, tra i primi interventi c’è quello di un signore seduto in prima fila che aveva seguito con grande attenzione la presentazione: è un dirigente di spicco del PD Valdostano ed è tra i promotori dell’incontro. Questo è il suo ragionamento:
Sono senz'altro più informato di ieri ma, con tutto il rispetto, sono anche più convinto della bontà della scelta di ammodernare le nostre infrastrutture.
Il futuro a cui dobbiamo guardare non può essere “negativo”: le argomentazioni addotte in senso negativo da chi si oppone sono riferite all’oggi; ma non mi rassegno all’idea che non possiamo fare un’opera pubblica perché siamo incapaci, perché c’è troppa criminalità, perché fino a ieri abbiamo gestito male le opere pubbliche, perché la destra e la sinistra sono uguali.
Ma come: aveva appena sentito parlare di costi non giustificati, di flussi di traffico in netto calo piuttosto che in crescita esponenziale, di tavoli di confronto con le comunità locali da cui venivano esclusi i sindaci che non garantivano a priori di essere favorevoli, di dati truccati, di previsioni impossibili sulla crescita dell’occupazione, di bugie su presunti finanziamenti dell’Europa, di assurdità totali sulle previsioni di sostenibilità energetica; aveva ascoltato attentamente e non aveva sentito una sola parola sulle ragioni “locali” (per altro legittime) dell’opposizione legate alla devastazione del territorio e ora riprende il ritornello di una resistenza no tav dal carattere Nimby? Aveva appena visto tabelle e grafici che documentavano l’assurdità di una nuova infrastruttura in un’area che ha un interscambio commerciale con la Francia ben al di sotto delle potenzialità delle strutture esistenti e parla astrattamente di un paese arretrato incapace di interconnettersi con l’Europa? Ma quale sarà mai la scommessa dell’Europa di cui parla? Aveva sentito ragioni riconducibili soltanto alla difesa dei beni comuni, di sperpero ingiustificato di risorse ai danni di tutti i cittadini, dalla Val d’Aosta alla Sicilia, e ora sostiene che una minoranza non ha il diritto di decidere per la maggioranza? Quale può essere il concetto di maggioranza e di diritti negati che ha in testa chi sostiene questo?
Il relatore no tav si guarda intorno smarrito chiedendosi quanto opportuna sia stata la sua scelta di voler semplicemente “informare” concentrandosi su documenti e dati concreti mettendo in evidenza incongruenze e contraddizioni: se avesse messo l’accento sul modello di sviluppo sarebbe stato accusato di avere un approccio ideologico e invitato a rimanere sul concreto contestando eventualmente i dati di chi sostiene il progetto; essendo rimasto sul concreto viene accusato di avere una visione negativa del futuro e tutto il resto. In realtà non si faceva grandi illusioni e si aspettava che venissero anche riproposti vecchi slogan sul “progresso e il rischio di isolamento dell’Italia dall’Europa”, ma si aspettava anche che i suoi dati venissero discussi ed eventualmente contestati. E invece no, il dirigente PD, educato, pacato e inossidabile come il premier Monti e la ministra Fornero, parlava d’altro, come se fosse entrato in quel momento in sala: dell’evidenza dei fatti non si curava. Forse accettare il confronto era stata un’ingenuità. A chi poteva servire se la reazione era questa?
Poi il relatore guarda oltre la prima fila e vede tra il pubblico non pochi che scuotono la testa: probabilmente si tratta di militanti del PD che faticano sempre più a riconoscersi in un gruppo dirigente incapace di prendere le distanze da chi, nello stesso partito, ha stretti legami con le grandi lobby interessate al più grande business del secolo. Anche nella base del PD non sono pochi coloro che pretendono di ragionare con la propria testa e chiedono ai dirigenti locali di fare altrettanto.
(16 aprile 2012 ) |