Difendere pacificamente l’articolo 18: pericolo per l’ordine pubblico
«Noi sottoscritti/e consideriamo l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori una norma di civiltà. L’ordine della reintegra di chi viene ingiustamente licenziato è garanzia per ogni singolo lavoratore ed è al tempo stesso il fondamento per l’esercizio dei diritti collettivi delle lavoratrici e dei lavoratori, a partire dal diritto a contrattare salario e condizioni di lavoro dignitose. Se l’articolo 18 fosse manomesso ogni lavoratrice e ogni lavoratore sarebbe posto in una condizione di precarietà e di ricatto permanente, essendo licenziabile arbitrariamente da parte del datore di lavoro. Se l’articolo 18 fosse manomesso verrebbero minate in radice le agibilità e libertà sindacali. Per questo motivo va respinta ogni ipotesi di manomissione o aggiramento dell’articolo 18. L’articolo 18 va invece esteso a tutte le lavoratrici e i lavoratori nelle aziende di ogni dimensione».
Questo è il testo integrale di una petizione destinata ad essere inoltrata al Presidente del Consiglio del Consiglio dei Ministri e ai presidenti dei due rami del Parlamento.
Sorge spontanea qualche domanda.
La libertà di manifestazione del pensiero è un diritto inviolabile dell’uomo, compreso fra quelli che la Repubblica «riconosce e garantisce» (art. 2 Cost.), sulla base del principio di eguaglianza (art. 3 Cost.).
A ciò è da aggiungersi che nel caso sotto accusa la libertà di manifestazione del pensiero e le eventuali proteste pacifiche sono nel nome di un valore costituzionale, un valore fondante la democrazia: il lavoro. L’articolo 1 della Costituzione proclama l’Italia «una Repubblica democratica, fondata sul lavoro», l’articolo 4 definisce il lavoro un diritto e un dovere, gli articoli 35 e seguenti tutelano i lavoratori. Nella prospettiva della Costituzione il lavoro è strumento di emancipazione sociale e dignità, trait d’union fra democrazia politica e democrazia economica: questo si riflette nell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, che, in coerenza con questa impostazione e con il divieto dell’iniziativa economica privata quando contrasti con l’utilità sociale o rechi danno alla sicurezza, libertà e dignità umana (art. 41 Cost.), limita la libertà dell’imprenditore.
Certo, ciò non corrisponde ai comandamenti dominanti: il lavoro è una merce soggetta alle sole regole della competitività e del profitto, e non bisogna – come ricorda il Ministro Elsa Fornero (Torino, 21 aprile 2012) – lamentarsi e protestare ma lavorare insieme, ça va sans dire, nell’Unica direzione possibile, nell’Unico modo di intendere il bene del paese, come vogliono il dio mercato e i suoi sacerdoti, le agenzie di rating e la Bce.
Quando il dissenso, imprescindibile compagno della democrazia, diviene di per sé una questione di sicurezza pubblica, la democrazia mostra di non essere altro che un simulacro di se stessa.
23 aprile 2012
(*) Alessandra Algostino - Prof.associato Diritto costituzionale comparato, Facoltà di Scienze Politiche Università degli Studi di Torino
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