Si può fare
Da domani possiamo nuovamente immaginare che non esistano zone rosse inviolabili, possiamo pensare che la forza di migliaia di persone armate soltanto delle proprie ragioni sia in grado di tagliare qualsiasi rete: oggi in val si Susa sono stati aperti, come promesso, nuovi spiragli di democrazia.
La giornata nel boschi tra Giaglione e Chiomonte può essere raccontata da diversi punti di vista: c'è chi si compiace del fatto che non siano state realmente tagliate le reti e chi ha invaso una zona rossa dimostrando che quelle reti sono vulnerabili e inutili. C'è chi ha sperato in scontri da mostrare in tv ed è rimasto deluso e chi ha promesso che non vi sarebbero stati scontri e ha mantenuto la promessa. C'è chi ha speso almeno mezzo milione di euro in un solo giorno per schierare un esercito e chi ha dimostrato che sono stati soldi buttati al vento (resta il problema che chi li ha spesi non li ha certo messi di tasca sua). C'è chi vuol fare un tunnel e non sa più dove sbattere la testa perché ogni giorno perde consensi e chi il tunnel non lo vuole e ogni giorno guadagna consensi, c'è chi da domani dovrà inventarsi qualcosa di nuovo per non perdere almeno la faccia e chi è tornato a casa questa sera con la faccia pulita e sa che da domani la strada è meno in salita. Questione di punti di vista si direbbe: se non fosse che occorre proprio essere ciechi per non vedere cosa è successo oggi in Val di Susa.
Non è successo niente. Niente di ciò che avevano sperato: hanno lavorato settimane nel dipingere ancora una volta il movimento no tav come un covo di black bloc e sono rimasti a mani vuote. Nell'ultima settimana poi ce l'avevano messa tutta, e Roma era venuta loro incontro. Nelle ultime ore avevano forse capito che era tutto inutile e si sono resi ridicoli: pur di fermare chi veniva a manifestaree multavano le auto sprovviste di catene da neve a bordo e le rimandavano indietro; questa mattina non si contavano i posti di blocco nelle strade e in autostrada, le perquisizioni alla ricerca di qualcuno da portare in caserma per porto abusivo di forbici o tenaglie. Niente da fare: chi aveva fatto tardi ed era rimasto imbottigliato arrivava a piedi.
Quanti? Diecimila? Quindicimila? Più o meno, ma poco importa. Ciò che conta è che migliaia di persone a mani nude e a volto scoperto sono arrivate a Giaglione decise a commettere un'azione di disobbedienza civile, a infrangere un divieto che aveva allargato la zona rossa del non cantiere di Chiomonte. Migliaia di persone disposte a metterci la faccia, decise a non rispettare l'ordinanza del prefetto e a farlo alla luce del sole, orgogliose di mostrarsi alle telecamere (comprese quelle della digos) con le loro brave tronchesine bene in vista. Migliaia di persone in marcia verso le reti del cantiere che non c'è.
A metà strada hanno trovato una prima rete: le donne della Val di Susa, sempre in prima fila, non ci hanno pensato un attimo e la rete è andata in pezzi. Perché avevano messo nella notte quella rete che ieri non c'era? Per metterci alla prova? Pensavano forse che avevamo in mente un'azione simbolica, una rete tagliata da mostrare alle telecamere e poi saremmo tornati indietro? Un contentino? Non siamo mica scemi. Avanti. Poco più avanti un altro sbarramento, questa volta difeso da decine di uomini in divisa: un blocco difficile da superare. E a quel punto inizia il bello: centinaia, migliaia di persone che si inerpicano nel ripido bosco alla ricerca di un sentiero, altri che scendono a valle per aggirare il blocco. Nei boschi, mentre l'elicottero dall'alto consuma inutilmente fiumi di carburante, incontri uomini in divisa che fanno quasi tenerezza al vederli impotenti di fronte alla marea che dilaga e neanche ci provano a cacciarti da dove sei arrivato.
Succede così che dopo un bel po' di passeggiata, sempre a chiamarsi l'un l'altro, ad aspettarsi per non lasciare nessuno indietro in balia dei Cacciatori "Sardegna", l'unità speciale del Carabinieri specializzata nel contrastare i sequestri di persona (!), si arriva al ponte sul torrente a pochi metri dalla baita-presidio costruita nei mesi precedenti l'occupazione militare. Una scena surreale: sul ponte decine di poliziotti con tutto l'armamentario del caso ad impedire il passaggio, poche decine di metri a monte e a valle centinaia di persone che attraversano il torrente e si dirigono alla baita senza degnarli neppure di uno sberleffo. La baita-presidio dista poche decine di metri dalle recinzioni, questa volta quelle vere. Tolti il centinaio di uomini in divisa aggirati lungo la strada ne restano milleseicento a difendere quelle povere reti inutili.
"Il cantiere è all'interno di un'ampia zona rossa invalicabile, nessuno potrà avvicinarsi a meno di due chilometri" avevano detto. Eravamo a poche decine di metri del (non) cantiere, in migliaia avevamo dimostrato che non c'è zona rossa che tenga: aveva senso andare oltre? Il nostro obiettivo non era certo espugnare un fortino e fare milleseicento prigionieri. Forse ci avevano lasciato passare, non avevano usato lacrimogeni e idranti e non si erano innervositi. Forse. Ma forse per chi dava gli ordini ogni altra scelta sarebbe stata sconveniente. Abbiamo deciso di tornare indietro, non c'era più niente da dimostrare.
Questa è la cronaca di una giornata che ha visto nuovamente la Val di Susa protagonista, da oggi il movimento notav è più forte. Domani è un altro giorno, la resistenza al TAV percorrerà altri sentieri, si muoverà a trecentosessanta gradi sapendo che le reti non sono certo l'unico ostacolo che ha di fronte. Ma i no tav sono anche pronti a tornare presto sugli stessi sentieri in cui migliaia di persone a mani nude e a volto scoperto hanno saputo dimostrare che le zone rosse non sono inviolabili.
Comitato NO-TAV Torino 23 ottobre 2011
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