E' singolare (e significativo) che nel dibattito sulla questione dell'Alta Velocità in Val di Susa non vengano messi sul tavolo alcuni argomenti d'importanza fondamentale per capire le problematiche del trasporto merci. Eppure una delle motivazioni più forti che vengono addotte per giustificare l'opera è proprio quella che il tunnel dovrebbe migliorare il trasporto delle merci.
1. L'Italia, si dice, è
carente di infrastrutture e quindi le performances delle sue catene logistiche
sono inadeguate, con effetti negativi sulla competitività dei nostri
prodotti. Distinguiamo: le infrastrutture di trasporto sono una cosa, le infrastrutture
specificamente dedicate alla logistica sono un'altra. Le prime vengono costruite
con denaro pubblico, le seconde da investitori istituzionali privati. Pertanto
la dotazione infrastrutturale va calcolata tenendo presenti queste due tipologie.
Ora, se si osservano gli investimenti effettuati in Italia negli ultimi sei-sette
anni dagli investitori istituzionali in quelle che comunemente vengono chiamate
"piattaforme logistiche", "centri di distribuzione" o simili,
si potrà constatare che pochi paesi europei hanno avuto i tassi di crescita
che si sono verificati in Italia. Anzi, in certe aree, per esempio l'area metropolitana
di Milano, abbiamo un grado di affollamento tra i più alti d'Europa.
Qual è il problema di queste infrastrutture? Sono state costruite al
di fuori di una pianificazione del territorio, non certo per colpa degli investitori,
ma per carenze della Pubblica Amministrazione, non sono orientate verso il trasporto
ferroviario ma al 98% muovono le merci solo su camion, sono localizzate esclusivamente
nel Norditalia.
2. Le infrastrutture pubbliche di trasporto, i grandi assi ferroviari e stradali,
si dividono a loro volta in due categorie: le linee ed i nodi. In Italia, ma
non solo in Italia, i problemi più acuti sono sui nodi, non sulle linee,
e più aumenta la velocità sulle linee, più si aggravano
le criticità nei nodi. II 75% dei ritardi dei treni merci intermodali,
cioè della tipologia di trasporto su rotaia più promettente, si
accumulano in prossimità o dentro i nodi e in particolare nel cosiddetto
ultimo miglio ferroviario. "I tempi necessari per effettuare i servizi
nei tratti terminali hanno un'elevatissima incidenza su quelli complessivi di
percorrenza dei treni (dal 20% al 200%)", "il costo dei tratti terminali
assorbe tra il 15% ed il 65% dei ricavi della vendita dei servizi ferroviari".
Traggo queste frasi da una presentazione di Trenitalia ad un convegno del 2004.
Un terminale è efficiente non solo quando ha spazi e gru potenti ma quando
ha regole di gestione chiare, uniformi e valide per tutta la rete e tutti gli
attori, quando ha sistemi informatici che ottimizzano le operazioni, quando
l'ambiente che lo circonda, compreso il "padroncino" che entra ed
esce col suo camion, parla lo stesso linguaggio secondo protocolli condivisi.
Le carenze maggiori stanno qui. In base all'ultimo pacchetto di misure per l'applicazione
delle normative europee, i terminali intermodali italiani, cioè la parte
più sensibile dell'intero nostro sistema ferroviario, quella che collega
i porti con l'entroterra e l'Italia con l'Europa, sono stati trasferiti a RFI,
che è portata per sua natura ad affrontare il problema più dal
lato "immobiliare" che "industriale", dov'è necessario
mettere in atto un sistema di regole uniformi per evitare strozzature. Le regole
sono importanti quanto l'infrastruttura fisica.
3. E sulla Torino-Lione? Lì i terminali ci sono, anzi, ad Orbassano c'è
un gioiello di terminale. Peccato che sia stato costruito per mettere in esercizio
un sistema di trasporto ferroviario del tutto inefficiente: la cosiddetta Autostrada
Viaggiante. Un sistema, una tecnica, mediante i quali invece di trasferire la
merce su unità di carico intermodali e portarla per lunghe distanze,
si impiega una linea ferroviaria per trasportare camion completi di semirimorchio,
trattore e autista. Nel caso specifico, la tratta è molto breve, da Orbassano
a Aiton, alcuni chilometri in territorio francese dopo il confine. Vorremmo
sperare che l'utilizzo di un tunnel di base di 54 km per le merci sia stato
pianificato per farvi passare treni con vagoni universali o specializzati (cosiddetto
traffico "tradizionale") e soprattutto treni di unità di carico
standard, tipo container e casse mobili (cosiddetto traffico "intermodale").
Il tunnel di base non può servire per le tecniche di trasporto meno efficienti
e di corta distanza, ma per quelle più competitive con il traffico stradale.
In teoria però, nella pratica le cose possono essere diverse e per ragioni
che non riguardano le infrastrutture.
4. Quello di Modane è il secondo valico ferroviario alpino in termini
di tonnellate in transito, per quanto riguarda il traffico "tradizionale".
Ma per quanto riguarda il traffico "intermodale" rappresenta solo
il 14% del totale alpino, che si ripartisce, com'è noto, tra otto valichi
(Ventimiglia, Modane, Domodossola, Luino, Chiasso, Brennero, Tarvisio, Villa
Opicina). Un dato quest'ultimo molto più significativo del primo perché
non è espresso in tonnellate ma in numero di unità di carico,
adottando il vero criterio di misura adatto a valutare sia le performances che
la capacità di un'infrastruttura. Infatti, da trent'anni a questa parte,
e soprattutto dopo l'invenzione del container marittimo, l'economia dei trasporti
ragiona per volumi, non per pesi. Il traffico "tradizionale" è
caratteristico della merce pesante (chimica, siderurgia, auto nuove, carta,
acque minerali, materiali da costruzione) ed è in calo in tutta Europa.
Il traffico "intermodale" è caratteristico della merce leggera
ma è anche in grado di assorbire merce pesante (es. piastrelle o prodotti
chimici) sottraendola al "tradizionale". E' stabile in tutta Europa
o in crescita (si pensi ai container che escono ed entrano a valanga da e per
i porti). Il futuro delle merci in ferrovia (se c'è futuro) sta lì.
Dunque, perché passa poca merce in unità di carico standard per
Modane? Carenze dell'infrastruttura (problemi di sagoma ma in parte risolvibili
con interventi sulla linea storica), ostinazione delle ferrovie francesi a non
liberalizzare? Certo, tutte ragioni fondate ma una, a mio avviso decisiva, è
di solito trascurata ed è quella che riguarda il flop dell'Eurotunnel
tra la Gran Bretagna e la Francia. Non sto parlando di problemi finanziari e
giudiziari (il 31 gennaio scorso è stato raggiunto un accordo provvisorio
tra il comitato dei creditori, che rappresenta circa il 50% del debito di più
di 9 mld di euro, e il management della società di gestione dell'Eurotunnel;
questo accordo è stato sottoposto entro la fine di marzo al restante
gruppo di creditori e nel corso di aprile è possibile che intervengano
procedimenti e che la società nel 2007 debba portare i libri in tribunale).
Sto parlando del fallimento dell'opzione "intermodale" attraverso
il Tunnel sotto la Manica (un ulteriore -16% nelle tonnellate trasportate nel
2005 rispetto al 2004). Ed è questo fallimento che finora ha costituito
un handicap del Fréjus come transito obbligato di un corridoio che va
dalle regioni ricche italiane ai porti inglesi. Oggi, i treni di container marittimi
che utilizzano questo corridoio per imbarcare la merce nei porti inglesi in
maggioranza non passano dal tunnel sotto la Manica ma si imbarcano sulle navi
traghetto. Di recente, dati gli aumenti imposti dalle ferrovie francesi ai pedaggi,
non passano nemmeno da Modane ma, per raggiungere la Gran Bretagna, utilizzano
i porti belgi via Svizzera. I gestori di Eurotunnel hanno ripiegato su una specie
di Autostrada Viaggiante per fare cassa, ma con scarsi risultati - come si vede
dai ricavi del 2005 rimasti inalterati- rispetto al 2004 malgrado il numero
di camion con autista transitati sia aumentato del 2%. L'Autostrada Viaggiante
non fa corridoio, vale solo su tratte brevi, per superare ostacoli naturali.
L'unico servizio di Autostrada Viaggiante con volumi interessanti e lungo percorso
in Europa è quello tra Novara e Friburgo, gestito dalla società
svizzera Hupac. Ma quanto costa al contribuente svizzero? Oltre ad essere contraria
a qualunque ipotesi di trasferimento modale, questa tecnica è molto costosa
e la tecnologia applicata ad Orbassano (un tecnologia di brevetto francese,
il cosiddetto "carro Modalhor", che i nostri cugini d'Oltralpe vorrebbero
imporre a tutta l'Europa) è la più costosa in assoluto, anche
se è molto ingegnosa. Questa tecnica sta in piedi solo se è sovvenzionata,
quindi va contro le prospettive di privatizzazione dei servizi. Pertanto, poiché
il futuro della linea Torino-Lione in quanto corridoio merci intermodale è
molto oscuro e non dipende dalla infrastruttura di valico ma da altri fattori
da quella indipendenti, parrebbe che le prospettive di utilizzo redditizio della
linea ai fini del trasporto merci si limitino ai traffici "tradizionali",
che sono traffici da punto a punto, da raccordo a raccordo, da fabbrica a fabbrica,
da deposito a deposito. Quindi facilmente identificabili nelle loro prospettive
di sviluppo. Possono essere un business interessante, c'è da sperare
soltanto (ma solo sperare) che le unità produttive collegate tramite
quella linea nel 2015 ci siano ancora e non siano emigrate (in Cina, in Europa
dell'est o chissà dove - il futuro del settore manifatturiero europeo
essendo piuttosto incerto).
5. Detto questo, non abbiamo nemmeno sfiorato la vera, drammatica emergenza
del trasporto merci in Italia. Secondo ricerche campione attendibili, riferite
all'anno 2002, cioè prima del periodo più difficile per l'economia
italiana, i camion pesanti che circolavano vuoti erano il 43%. Nemmeno dieci
anni prima erano il 33%. Nella più rosea delle previsioni, nel 2015,
quando il tunnel del Fréjus dovrebbe essere pronto, calcolando un incremento
annuo dimezzato rispetto al periodo precedente, avranno raggiunto il 50%. Se
dovesse vincere l'opzione Autostrada Viaggiante (è un'ipotesi attendibile
perché piace anche a certi ambientalisti ed è sostenuta fortemente
dai francesi) si sappia sin d'ora che avremo investito risorse importanti per
trasportare.... aria. Ma anche l'intermodale deve fare i conti con i vuoti.
La percentuale di vuoti nel traffico di container marittimi era stimata due
anni fa da Drewry, la fonte ritenuta più autorevole a livello mondiale,
in un 24%, ma in certi porti italiani si supera anche di dieci punti questa
percentuale. Tanto per avere un ordine di grandezza, nel 2003, quando è
esploso il traffico con il Far East, i container vuoti transitati nei soli tre
porti di Livorno, La Spezia e Genova raggiunsero la bella cifra di 776.598 TEU!
Se ci sono queste inefficienze non è certo a causa della carenza di infrastrutture.
E' dovuto al modo in cui è stata gestita la logistica da parte delle
aziende. Affrontata tardi, la questione logistica, e male. Ne sa qualcosa Fiat
Auto, che ha cominciato a occuparsene seriamente quando Volvo ed altri costruttori
avevano dieci anni di investimenti e di know-how alle spalle. Non affrontata
affatto, come accade ancor oggi per molte PMI, che vendono franco fabbrica e
acquistano franco stabilimento. Non si occupano del trasporto, non lo pagano,
non ne sono responsabili, è affare dei loro clienti che vengono a prendersi
la merce fin dalla Svezia, eppure strillano a gran voce: "mancano le infrastrutture!".
La logistica è informatica, perché organizza una rete, una supply-chain.
Piattaforme collaborative, sistemi, tecnologie di rete - questa è logistica.
E invece, scorrendo i report della Banca d'Italia sullo stato delle industrie
italiane nel 2004, al capitolo "investimenti" la voce "tecnologie
di rete" è la cenerentola. Al Sud non se ne parla nemmeno. Ma tutti
gli imprenditori interpellati gridano in coro: "Infrastrutture, infrastrutture!"
L'azienda italiana concepisce spesso il logistico come una specie di Mary Poppins
tuttofare, sulle cui spalle scaricare i problemi e le rogne, talvolta senza
dargli le risorse necessarie all'importanza. del suo ruolo.
E lui non ha altra soluzione, per cavarsela, che usare il trasporto ad libitum,
tanto costa poco, al 98% su gomma. Ed è costretto a farlo, perché
gli standard di servizio al cliente che gli vengono imposti sono analoghi a
quelli dei paesi con catene logistiche d'eccellenza.
L'importante è correre, non ottimizzare i carichi.
Aveva ragione da vendere uno dei più autorevoli specialisti di logistica
del nostro Paese quando scrisse, tre anni fa, sulla rivista dell'Associazione
professionale: "Sul trasporto noi logistici abbiamo sbagliato tutto!".
Il nostro sistema sta diventando transport-intensive molto più del necessario.
Tutti, studenti, economisti, politici dovrebbero leggere le argomentazioni di
un manager che da anni è alle prese con questi problemi, sul numero 5
di "Economia & Management", del l'anno scorso. L'Italia del Nord
abbonda di piattaforme logistiche, di magazzini e ribalte costruiti secondo
i più moderni criteri costruttivi, ma non si può dire altrettanto
della dotazione interna, dell'automazione degli scaffali,. dei sistemi avanzati
di gestione degli ordini e del picking, spesso si vedono ancora solo facchini
di cooperativa e "muletti". Non investono in automazione perché
i contratti di outsourcing sono a un anno, due anni, nel settore vige la legge
dell'"usa e getta".
Eppure i sistemi per migliorare le inefficienze ci sono, sono i sistemi che
l'intelligenza artificiale ha messo a disposizione della logistica, ma richiedono,
più che capitali, un cambio di mentalità, trasparenza nelle transazioni,
condivisione dei protocolli, partnership, disponibilità al cambiamento,
dettaglio e accuratezza nella raccolta e conservazione dei dati, e tante, tante
tecnologie di rete. Là dove questi sistemi vengono impiegati sistematicamente,
come in Germania, la percentuale di vuoti nel traffico merci su strada è
del 15% (dato dell'Associazione degli Spedizionieri tedesca, gennaio 2006).
In Italia solo alcune imprese d'avanguardia hanno imboccato questo cammino,
risparmiando soldi e viaggi a vuoto. Alcune regioni, come l'Emilia Romagna,
sperimentano programmi per sostenere le imprese in questo sforzo. Con qualche
successo.
Morale: costruire infrastrutture, di nicchia o di sistema che siano, in un ambiente
che non è disposto a questo salto tecnologico, finanziare opere e non
incentivare l'upgrading delle filiere logistiche, pensare ad esser più
veloci e non pensare ad esser più efficienti, significa nel trasporto
merci condannare il nostro sistema produttivo e distributivo al supplizio di
Sisifo.
http://www.antoptima.com/admin/pdfrassegna/ItaliaMondo_Maggio_2006.pdf
http://www.italiamondo.org/