DUNQUE GLI EVERSIVI SAREMMO NOI...

 

di Claudio Giorno 25/6/11

 

Qualche volta si può persino apprezzare un editoriale de "il giornale".. (*)

Io magari l'avrei titolato " I PRIVILEGI DEL DIRETTORE DE LA STAMPA"...

Comunque – secondo me - vale più questo articolo che mille conferenze per capire con chi abbiamo a che fare, come funziona il palazzo da cui dovrebbero partire le politiche in difesa del paese, del suo sistema bancario, della sua competitività, del suo futuro...

 

Tutto sommato mi sembra anche di poter capire meglio l’accusa di essere eversivi reiterata verso i cittadini della Valle di Susa “colpevoli” di voler difendere assieme alla loro terra e al futuro dei propri figli anche un po’ di quel che resta della ricchezza costruita da alcuni milioni di formichine che nel corso dei 150anni (che si stanno celebrando esclusivamente con overdose di retorica e parate militari) sono andati a fare i calzolai negli USA, i muratori in Sudamerica o a morire nelle miniere in Belgio (oltre a lavorare “come cinesi in patria”).

 

E’ vero, se per incontrare uno condannato in via definitiva per la madre di tutte le tangenti - la Enimont - c’era la fila fuori dal suo ufficio e se di questa fila facevano parte anche l’amministratore delle Ferrovie e il direttore de Lastampa, noi siamo eversivi.

 

Se chi detta la linea editoriale del quotidiano fondato da Piergiorgio Frassati ha ritenuto non così disdicevole incontrare (e non – a quanto sembra - per una inchiesta giornalistica sugli ergastolani) un pregiudicato come Bisignani come ci si può stupire degli articoli di linciaggio quotidiano scritti col “fosfuro di zinco” dai Numa & Travan? Se un paese, il suo establishment, dal candidato alla presidenza della repubblica Gianniletta al capo della commissione parlamentare sui servizi segreti Massimodalema trovano normale che degli appalti più onerosi per la pubblica amministrazione o delle nomine più delicate se ne occupi uno che non ha esitato a lordare la Banca vaticana pur di ripulire i soldi destinati alla più grande tangente ai politici sin qui scoperta noi siamo eversivi.

 

Se il sistema Tav – la sua architettura finanziaria rivendicata da Cirinopomicino è ruotato attorno a Fiat, Iri, Eni, e (non se lo ricorda più nessuno) l’Enimont di Bisignani e se uno dei più autorevoli magistrati italiani, Ferdinando Imposimato – eletto senatore - è stato bloccato da destri e sinistri, quando all’interno della commissione parlamentare Antimafia ha tentato di mettere il naso nella collusione tra camorra e politica nel Tav, noi siamo eversivi.

 

Fra qualche giorno a Genova si celebreranno i dieci anni da un summit dei “Grandidellaterra” finito nel sangue e dal più vergognoso pestaggio mai trasmesso in diretta tv: Andrea Camilleri, nella prefazione del libro di Agnoletto e Guadagnucci “L’eclisse della democrazia” scrive che “niente, neanche la vergogna dei loro volti filmati dai telefonini mentre pestano degli innocenti li ha costretti a rinunciare alla poltrona. In Italia esiste la presunzione di innocenza ma non vige la presunzione dell’imbarazzo, della vergogna nel venire smaschearti e conservare il loro posto”.

Spartaco Mortola, uno dei protagonisti più discussi di quella mattanza, è stato appena nominato responsabile Polfer a Torino a tre settimane dal congedo previsto per l’attuale questore, ed ha già “sperimentato con successo” come la creazione di un clima di ostilità e criminalizzazione del dissenso possa “giustificare” presso l’opinione pubblica l’uso della mano pesante.

Dieci anni dopo non c’è più nessuna traccia dei blak block di Genova, speriamo di non vederli riapparire – come un fiume carsico (il torrente Clarea un po’ si presterebbe) in Valle di Susa.

 

Nessun processo alle intenzioni: questo viene celebrato quotidianamente sui giornali come quello diretto da Calabresi in completa assenza di collegio di difesa nei nostri confronti, ma massima attenzione e nessuno sconto nei confronti di quello che accadrà nelle prossime ore. Noi ci auguriamo che il diritto a opporsi all’ultimo e definitivo attentato alla vivibilità della nostra terra – colonia di Grandipopere sterili e invasive - sia garantito anche se siamo consapevoli di star praticando una forma dichiarata di “disubbidienza civile”.

 

Ma non è per questo che siamo “dichiarati eversivi”, bensì perché siamo rimasti forse l’ultimo granello di sabbia nell’ingranaggio che garantisce la sopravvivenza di un modello agonizzante che mentre promette prosperità (via PIL) affonda le banche; prima garantisce benessere e comanda di vivere al di sopra delle proprie possibilità (indebitatevi di olimpiadi e Tav) e poi presenta il conto con interessi da usura e ne pretende il pagamento immediato con lo smantellamento di assistenza e sanità.

La Grecia oggi, noi domani e chissà, la Francia dopodomani quando solo per “decommissionare” le sue centrali nucleari esauste dovrà spendere dieci o forse venti Torinolione.

 

Si, se le “triangolazioni” dei Bisignani rappresentano l’ordine costituito e i pochi PM che cercano di scandagliarne le complicità nei torbidi abissi delle degenerazioni massoniche vengono imbavagliati da destri e sinistri finalmente uniti (non più solo sulla Torinolione) noi siamo eversivi.

 

 

(*) Moralisti. Se anche Calabresi fa outing...

 

da il Giornale del 25 giugno 2011

 

Dopo giorni di travaglio interiore, struggimenti e unghie rosicchiate, Mario Calabresi ha fatto «coming out»: si è dichiarato. Placido ma timido, come chi sa di non aver fatto nulla di male, ma sa che rischia comunque lo stigma. Nella fattispecie, il direttore della «Stampa», nel suo editoriale di ieri ha ammesso quella che è ormai giudicata una colpa inestinguibile: l’aver conosciuto Luigi Bisignani.


Calabresi affida candidamente la sua «confessione» a queste righe, seppur nascoste in un articolo in cui utilizza i pissi-pissi dei ministri al telefono come termometro della febbre da cavallo di un esecutivo morente: «Lo scorso autunno incontrai un giorno Bisignani, che non avevo mai visto prima, e, come molti altri esponenti del governo nelle stesse settimane, mi raccontò di un presidente del Consiglio assente e distratto». Lo stigma è servito.


Qui al «Giornale», dove da tempo si scrive che l’inchiesta P4 è una giostra di «pour parler» senza ombra di reati, nelle parole di Calabresi non troviamo né peccati, né colpe. L’universo mondo - pardon, l’universo Italia - conosceva Bisignani. Nell’universo vive (e lavora) anche il direttore della «Stampa», quindi «where is the point?»: dove sta il problema? Il problema sta in quanto invece sostengono i commentatori del quotidiano torinese, indignati fin dal principio per la rete di rapporti del faccendiere. Così l’inviato a Napoli Guido Ruotolo puntava il dito contro «la politica, l’impresa, il mondo dell’informazione da Dagospia a giornalisti ossequiosi». Dove sta l’ossequio? Nell’aver conosciuto il Babau Bisignani, ovvio. E ancora Massimo Gramellini scriveva che «conoscere la faccia di Bisignani è privilegio concesso a pochi», in particolare ai «potenti senza volto» che tirano le fila di questa presunta Spectre. Infine Michele Brambilla concludeva: «Dov’è il reato mi interessa poco. Mi indigno non perché le trame vengono raccontate, ma perché queste cose accadono, perché la vita del Paese è regolata da intrallazzi».


Ora - dopo il «coming out» - si attende un pezzo a sei mani scritto dai colleghi Ruotolo, Gramellini e Brambilla. Potrebbero scrivere con la schiena dritta e il paraocchi: «Caro direttore che incontrasti Bisignani, sei un ossequioso, un potente senza volto e un intrallazzatore». Oppure potrebbero scrivere con buonsenso: «Caro direttore, se anche tu che sei una persona perbene hai incontrato Bisignani, forse è proprio vero che avergli parlato una volta non fa di un uomo un delinquente».