Il quotidiano di Torino La Stampa titolava così un
articolo del 10 Gennaio scorso: “NO TAV, la nuova strategia: scudi umani
contro i cantieri”. La tesi riportata era semplice e seguiva il copione
recitato un giorno si e l’altro anche in tutti i palcoscenici
dell’informazione-spettacolo che anestetizza le coscienze di tanti italiani
senza lasciare vie di scampo: “l’opposizione al tav è largamente minoritaria
e residuale in una valle che ha compreso e condiviso le ragioni della grande
opera che finalmente può iniziare. In realtà l’articolo si spingeva un
tantino più in là e affermava che la valle rimaneva ostaggio di qualche
centinaio di anarco-insurrezionalisti e autonomi torinesi che cercavano lo
scontro con la polizia e al momento buono si sarebbero tenuti nelle
retroguardie mandando in prima linea “le signore con il cagnolino in
braccio, i bambini e i ragazzini, gli anziani con la bandiera bianca e rossa
che fa da poncho e il bicchiere di plastica pieno di vin brulè”. Chi ha
raccolto l’invito a non guardare i telegiornali e a venire a vedere con i
propri occhi sabato scorso a Susa si è fatto un’idea più precisa, aiutato dalle
migliaia di scudi umani valsusini (chi avesse perso l’occasione può dare
un’occhiata alle immagini).
All’indomani
della marcia dei 40.000 notav a Susa e all’indomani dell’attentato mafioso che
ha distrutto completamente uno dei tre presidi nati nell’estate del 2005 la
commozione e la rabbia non sono facili da dominare. Al presidio di Borgone in
questi anni sono passati in tanti, e molti hanno lasciato un segno; ma forse il
presidio ha dato loro più di quanto ha ricevuto e nessuno, andandosene, ha
potuto dimenticare la grande carica di umanità che ha trovato in quella casetta
di legno con la stufa al centro e le tendine alle finestre: un’umanità che va
oltre la militanza. La notte dell’incendio coloro che frequentavano
abitualmente il presidio, coloro che avevano riscoperto nel presidio un senso
di comunità dimenticato, queste persone hanno pianto senza ritegno prima di
rimboccarsi le maniche per costruire un nuovo presidio. Scudi umani.
Per fare il punto sulla resistenza notav a quattro
anni dalla riconquista di Venaus è sufficiente saper guardare: a Borgone,
all’indomani della manifestazione di Susa, a distanza di poche ore
dall’incendio che aveva distrutto il presidio c’era il popolo notav della valle
che rifiutava il ricatto mafioso e non si lasciava trascinare nella trappola di
una nuova strategia della tensione.
Parlare di “popolo notav” può sembrare un modo per
tacere di differenze, di aree politiche, di tattiche e strategie diverse che
ora si incontrano e ora si dividono, di alleanze che nascono e alleanze che
muoiono. Non è così, il popolo notav della Val di Susa è anche questo, non c’è
nulla da nascondere, ma queste differenze non sono vissute come un fastidio o
un ostacolo e vengono accettate per quello che sono e ognuno lavora per
costruire e non per distruggere. Fa effetto il confronto con il teatrino della
politica di palazzo rappresentato quotidianamente in una campagna elettorale
infinita che divora risorse rubate ai bisogni della collettività.
Dall’autunno del 2005 ad oggi molte cose sono
cambiate ma al tempo stesso... niente è cambiato: da allora nessun cantiere è
stato aperto e i pochi sondaggi dei giorni scorsi iniziati all’alba e conclusi
al tramonto sono un farsa per imbrogliare l’Europa. Il progetto TAV
Torino-Lione è ancora sulla carta nonostante 4 anni di logorio praticato dai
governi che si sono succeduti nel frattempo e che hanno spostato equilibri e
incrinato il fronte degli amministratori: Ferrentino (ex presidente della
Comunità Montana) si è convertito e oggi si colloca oggettivamente tra coloro
che accettano il TAV e vorrebbero contrattarne le compensazioni. La valle però
nel suo complesso non ha mai cambiato idea, anzi: non si contano le assemblee
pubbliche e le serate informative, in tre anni tre edizioni del Grande Cortile
(un tour de force di incontri-dibattiti-spettacoli), decine di migliaia di
persone di nuovo in piazza poco più di un anno fa, poi una serie di fiaccolate
quasi improvvisate che ogni volta raccoglievano almeno un migliaio di persone.
E per finire, almeno per ora, il grande corteo di Susa dei giorni scorsi.
Non c’è niente da nascondere neppure sulle
divisioni nel fronte degli amministratori e tra questi e i comitati notav (uno
in ogni paese della valle): diversi sindaci che avevano subito il “fascino
Ferrentino” nella fase in cui si proponeva leader del fronte notav lo avevano
poi seguito nella fase della conversione verso soluzioni decisamente
possibiliste e le ripercussioni nei rapporti con i comitati notav non erano
mancate: poi è successo che alle ultime elezioni amministrative molte liste civiche nate e cresciute all’interno
del movimento notav hanno saputo dare una risposta alla caduta definitiva di
credibilità dei partiti, hanno detto no alla delega e sì al rapporto con il
movimento per il governo del proprio territorio e oggi rappresentano una forte
presenza nei consigli comunali. La recente elezione del presidente (PD) della
nuova comunità montana allargata si basa su un accordo che dice “no tav” e
chiede l’uscita dall’osservatorio Virano. L’accordo tra liste civiche e
maggioranze targate PD ha creato una bufera nel partito delle cooperative
“rosse” interessate agli appalti dei
cantieri e sono piovute scomuniche: ma alla manifestazione di sabato scorso,
promossa dai comitati notav, hanno partecipato tutte le amministrazioni che
hanno sottoscritto l’accordo e quasi una ventina di sindaci su 24 e il
neopresidente della comunità montana ha preso la parola dal palco al termine
della manifestazione. Il dialogo tra la parte istituzionale e il movimento
insomma è ripreso e si va avanti.
Già, il “movimento”
NOTAV. Questo movimento fatto di comitati, singoli cittadini, amministratori,
pensionati e giovani dei centri sociali, militanti che hanno una missione da
compiere e casalinghe che hanno dei figli da accudire sfugge ad ogni schema.
C’è di tutto e di più, mancano (per fortuna) i partiti e i (pochi) militanti
dei partiti che partecipano alle riunioni sono “solo” persone e non commissari
politici. Nessuno ha ancora capito come faccia a funzionare, ogni volta ci si
stupisce che tutto non finisca a catafascio e che i risultati siano sempre
incoraggianti. E’ un movimento che ha dentro di sé anticorpi potenti, anticorpi
capaci di difenderlo anche da se stesso quando al suo interno rischiano di
nascere tentazioni alla ricerca di improbabili scorciatoie. Però la rotta è sempre la stessa,
segnata da una resistenza pacifica e determinata: 43 comuni, 60.000 abitanti,
oltre 40.000 in piazza sabato scorso a dire “notav”.
La lotta NOTAV, che nell’autunno del 2005 era
diventata “questione nazionale” ha mostrato come le ragioni della resistenza di
una valle andassero al di là dei rischi per l’ambiente e per la salute e
investissero temi quali l’utilizzo di enormi risorse finanziarie sottratte alla
collettività, gli intrecci tra politica e mafia, la difesa della democrazia e
il diritto dei cittadini a decidere del proprio futuro. La resistenza della Val
di Susa era diventata un simbolo per le tante resistenze sparse nel paese e il
Patto di Mutuo Soccorso aveva suscitato nuove speranze. Da allora cos’è
cambiato?
Nel paese molto è cambiato e il “modello Valsusa”
non si può esportare facilmente, è già un miracolo che funzioni da queste
parti: la valle continua a resistere, ha contagiato la valle vicina ma stenta a
farsi sentire già a Torino che è a due passi. Questa esperienza
però è diventata patrimonio di tutti ed è diffusa la convinzione che la difesa
dei beni comuni passa anche dalla Val di Susa. Questo i valsusini lo sanno e talvolta sentono
il peso di una responsabilità molto grande che vorrebbero condividere con
altri.