La mia personale resistenza

«Rilasso i pugni e alzo le mani, ma non mi arrendo»

 

Lettera alla rubrica “Opinioni” di Luna Nuova del 2/2/10 – pag. 5

 

Avrei l'immenso piacere di abbando­narmi alla reazione spontanea contro i toni alti e violenti con cui le affermazioni e le notizie si diffondono, gli atti di forza si impongono in questi giorni caldi per la nostra valle: giorni di orgoglio e sdegno, di rabbia e lacrime, di fiducia e timori. Avrei altrettanto desiderio di abbandonarmi alle emozioni, lasciarle scorrere in un flusso catartico, agire spontaneamente, di istin­to, secondo una naturale conseguenza, nel puro rapporto di causa effetto, senza rifiniture o diplomazie e raccogliere tutto ciò che ne consegue, comprese le violenze istituzionali e le denunce minacciate e sbandierate, in spregio di ogni principio democratico e costituzionale, da alcuni esponenti politici locali.

 

Rilasso però i pugni, alzo le mani senza atteggiamento di resa, mi fermo e mi limito alle constatazioni personali, ben sapendo che il constatare è atto di scoperta della verità, riscoperta del "palese", ulteriore accertamento di ciò che è già vero. Nessuna diplomazia, nessun atteggiamento mite, nessuna riduzione del frastuono potranno mitigare la durezza e il peso delle mie constatazioni.

 

La prima constatazione, che travalica la stringente questione sul Tav in valle, mi dice che l'Italia non è più un paese democratico. La democrazia è stata derubata di ogni suo valore e, irrisa e sminuita, è stata trasfor­mata nell'eterna ed arrogante guerra dei numeri, quelli della maggioranza e quelli delle minoranze, tragicamente congiunte in una comunanza di idee e di politiche.

 

La sovranità del popolo elettore (quella della"giusta" maggioranza) la si riconosce, la si difende e la si pone a difesa dei principi costituzionali solo quando le minoranze di­sturbano e minano il percorso che va verso il perseguimento di interessi particolari, individuali o delle lobby. Alla sovranità popolare si sovrappone, con arrogante schiamazzo, la potestà di impero che diven­ta e rimane potere imposto coattivamente ai cittadini (minoranze in primis). Che a farne le spese siano i valsusini, gli immigrati, gli omosessuali o i Rom poco importa.

 

L'unico principio democratico, difeso e asserragliato nei palazzi del potere, sbraitato in casi di necessità, è quello della maggioranza dei numeri, che tutto giustifica e tutto permette: le minoranze sono sempre eversive, indegne di manifestare il dissenso, quasi che la sconfitta elettorale o la posi­zione marginale e priva di poteri bastino a confinarle ai margini della considerazione e della cittadinanza. Lasciamo perdere se le minoranze boicottano il progresso, tarpano le ali dell'economia e impediscono ai portafogli dei pochi di gonfiarsi a scapito del bene di molti.

 

Seconda constatazione è che la politica e il potere, nella più negativa e temibile accezione del termine, sono diventate una cosa sola, inscindibili e indistinguibili agli occhi del cittadino.

 

Se la piccola porzione di potere che ogni cittadino possiede viene messa nelle mani del rappresentante eletto, sarebbe auspicabile che il potere politico comples­sivo di quest'ultimo fosse il risultato di un rendimento di scala decrescente, come se ad ogni aumento dei numeri del consenso corrispondesse un aumento meno che proporzionale della quota di potere com­plessiva. L'idea, invece, che il potere non abbia limiti e aumenti in misura più che proporzionale all'aumentare del consenso elettorale genera egocentrismi politici, deliri di onnipotenza, il moltiplicarsi di slogan per la maggior gloria del singolo unitamente ad incontrollabili timori di com­plotti e cospirazioni: in altre parole il potere genera debolezza e la debolezza richiede una difesa arrogante e violenta.

 

Terza constatazione è che l'intelligenza, l'onestà intellettuale e politica, al di fuori della capacità di fare quei calcoli aritmetici che non necessitano delle astuzie dell'alge­bra ma che tanto servono a trarre i maggiori vantaggi economici da qualsiasi cosa, non sempre dimorano in chi della politica fa professione. Slogan evanescenti, deliri pro­gressisti, blasfeme apologie, affermazioni visionarie, ricerca di appigli inconsistenti, minacce velate e reali abusi della forza sostituiscono la mancanza di razionalità, di lungimiranza, di idee oggettivamente buone perché comprovate dall'oggettività delle scienze, dai numeri dell'economia o da un'etica politica condivisibile.

 

All'assenza di razionalità e di senso del limite si sostituisce la strategia politica del qui ed ora, del tutto subito, del tanto per pochi, incapace di alzare lo sguardo e di guardare ad una progettualità diversa per il futuro. Si progetta un sistema, si cercano le alleanze per costruirlo, si accettano tradimenti di idee e prostituzioni di valori, si delineano le fonti di potere economico per mantenerlo, si definisce il tutto come "cosa buona e giusta" e si dichiara guerra a coloro che non ci stanno, che hanno cento altre ragioni, mille altre "buone" ragioni per dire di no, che la cosa non va e che è ora di cambiare direzione e orientamento.

 

Un tale sistema deve percorrere strade lisce, non deve incontrare intimidazioni, deve abbattere le montagne fisiche e ideali, deve autoriprodursi e gongolarsi nelle lodi delle gerarchie della chiesa e di ogni altro soggetto che si arroga il diritto di rappre­sentare una morale superiore e giusta. Deve poter praticare ciò che è turpe e iniquo, ciò che è scandaloso e disonesto senza patire vergogna, senza destare sdegno, senza cadere sotto giudizio: di qua sta la ragione e questa giustifica e consente ogni cosa. Il sistema deve schiacciare il dissenso, smi­nuirlo, deriderlo, costringerlo nei recessi di una società antica che non può più esistere perché definizioni vuote di "strategia", di "progresso", di "comunicazione" ne annullano ogni ricchezza e ogni ragione d'essere.

 

Avrei molte altre constatazioni che mi farebbero rinserrare i pugni e agire d'istin­to. Per i limiti alla decenza che mi sono imposto e per non dare ragione a chi mi vorrebbe, insieme a tanti amici della valle, denunciato e messo alla berlina, le tengo fra i miei pensieri e le metto all'origine di una personale resistenza.

 

ROBERTO MAIRONE (Bussoleno)