Estratto da Corruzione ad Alta Velocità di F. Imposimato, G. Pisauro, S. Provisionato.  Koinè nuove edizioni

[Cap. IV – Nel tunnel dell’inchiesta -  pagg. 98-101; 104]

 

 

Un vero guazzabuglio

 

Ma com’era veramente iniziata l’inchiesta sull’Alta velocità ferroviaria?

Come già ricordato, tutto comincia nella prima metà del 1993, quando l’ex ministro socialdemocratico Luigi Preti presenta un esposto alla Procura di Roma nel quale vengono censurate le procedure seguite per la costituzione della società Tav spa, amministrata da Ercole Incalza. La denuncia viene affidata al sostituto procuratore Giorgio Castellucci. Ma ecco che accade subito qualcosa di inusuale. Nel corso di un vertice per chiarire alcune sovrapposizioni di indagine, vertice che si svolge nel palazzo di giustizia della capitale e al quale partecipano diversi sostituti procuratori di Roma e di Milano, viene deciso lo sdoppiamento dell’appena nata inchiesta sull’Alta velocità. Al vertice partecipano tra gli altri anche Giorgio Castellucci e Antonio Di Pietro. E’ stato lo stesso Castellucci, nell’ottobre ddel 1996, a spiegare come andarono le cose. Il magistrato romano – è bene evidenziarlo – nel 1993 aveva appena aperto il fascicolo sull’Alta velocità, ma Di Pietro – racconta Castellucci – gli confidò che su quell’argomento aveva cominciato a parlare l’imprenditore Vincenzo Lodigiani, secondo il quale intorno al progetto Tav c’era una vera e propria “programmazione tangentizia”. Fu così che a Roma rimase l’inchiesta sulla correttezza delle procedure con cui era stata costituita la Tav spa di Incalza, mentre quella sugli appalti per l’Alta velocità ferroviaria finì a Milano nelle mani di Di Pietro.

 

Già nel 1993, quindi, c’è chi indaga sull’Alta velocità. Per la verità esistono ben due inchieste: una milanese, l’altra romana. Ma fino al 1996, quando interverranno gli ordini di arresto di La Spezia, non succede nulla. Come mai?

 

La tranche d’inchiesta presa in carico da Di Pietro a tutt’oggi non si sa che fine abbia fatto. Di Pietro se ne spoglia quando nel dicembre del 1994 abbandona la toga.

 

E sono sempre delle intercettazioni ad inguaiare Castellucci, accusato di aver preso denaro per far archiviare a Roma l’inchiesta sull’Alta velocità. Gli atti finiscono così al vaglio del reggente del gip, Carlo Sarzana, che ha preso il posto di Renato Squillante, anche lui finito nell’inchiesta sulle mazzette ai magistrati. Sarzana per la seconda volta respingerà la richiesta di archiviazione proposta da Castellucci.

Sospeso Castellucci dal suo incarico, la tranche dell’inchiesta sull’Alta velocità ancora nelle mani dei magistrati romani passa ad un altro pm, Giuseppa Geremia. Costei, per prima cosa, vuole vederci chiaro in quella strana spartizione di atti giudiziari avvenuta nel 1993 tra Castellucci e Di Pietro. Alla Geremia non era scappato un particolare: non era la prima volta che Di Pietro si appropriava di un’inchiesta nata a Roma. Era già accaduto. Era successo con i soldi spariti della cooperazione, di cui era titolare il sostituto procuratore di Roma Vittorio Paraggio.

 

Che Roma stesse indagando su Pacini Battaglia fin dal 1993 lo scoprono i sostituti procuratori di La Spezia Cardino e Franz. Sono loro a chiedersi che fine avrà fatto quell’inchiesta. Prendono quindi contatto con la Procura di Roma , scoprendo che quegli atti sono stati inviati da Paraggio a Milano. Cercano allora i colleghi di Milano.

Di Pietro non è più ormai da tempo in magistratura, è vero, ma quelle carte su Pacini dove sono mai finite? I magistrati di Milano cadono dalle nuvole. “Qui da noi sul faccendiere e sui suoi affari con la cooperazione non c’è proprio nulla.

Si scopre così che quegli atti, quelle carte sono scomparsi. Spariti, volatilizzati. In altre parole non si trovano più. Risultato: certamente il più gradito a Pacini Battaglia. Per tre anni nessuno ha indagato su di lui. I magistrati di Roma perché avevano stralciato la sua posizione, inviandola a Milano. Quelli del capoluogo lombardo perché Pacini Battaglia era indagato nell’inchiesta sulla cooperazione e dell’inchiesta sulla cooperazione si occupava Roma.

Ma ci sono anche altri atti che sono spariti. A Roma non si trovano più alcuni documenti sequestrati a Mach di Palmestein. Già, proprio così, alcuni documenti facenti parte del dossier in cui si parla ancora di lui: di Antonio Di Pietro.[1]

 

L’inchiesta si sfilaccia

 

In altre parole l’accusa mossa da La Spezia, che sarà raccolta da Perugia, evidenzia la necessità che per la raccolta di mazzette il gruppo degli imputati avesse messo in atto “una sorta di presidio giudiziario” grazie “alla compiacente attività di taluni magistrati, svolgenti le funzioni in ruoli chiavi, i quali pilotassero nel senso desiderato eventuali inchieste”.

 



[1] NOTA DEL COMITATO NO-TAV TORINO:

ad Antonio Di Pietro Corruzione ad Alta Velocità dedica l’intero capitolo VI (L’uomo che sapeva troppo), il più esteso del libro, analizzando il ruolo ricoperto dal personaggio negli anni di ”mani pulite”, le amicizie, i comportamenti mediatici ed i fatti della vita privata che ne hanno caratterizzato il percorso fino al plateale abbandono della magistratura, nel dicembre ‘94 (verso un futuro approdo che sarà alla politica, prima con la nomina a ministro dei Lavori Pubblici nel governo Prodi del 1996, poi con l’elezione scontata a senatore offerta dal Pds nel ‘97 in un collegio sicuro del Mugello)