PRO-NATURA e CIPRA

PIU’ TRENI NEL FUTURO DELLE ALPI?

TORINO, 30 GENNAIO 2006

 

GERARDO MARLETTO*

 

LO SPAZIO DI UNA POLITICA DELLA LOGISTICA:

DAL TRASPORTO SOSTENIBILE ALLA RIDUZIONE DEI TRASPORTI

 

La mia relazione punta a dimostrare due asserzioni fondamentali:

-          che lo scenario più realistico è quello di un aumento significativo del trasporto di merci e che ciò è dovuto ad una strutturale riorganizzazione dei processi logistici;

 

-          che di conseguenza le politiche di intervento più adeguate non sono più quelle della sostenibilità (quelle cioè tese a rendere compatibile i trasporti con l’assetto attuale e futuro delle risorse ambientali) ma, più seccamente, quelle della riduzione dei trasporti.

 

Per farlo tratterò di seguito i tre seguenti punti che richiamano direttamente anche il titolo della mia relazione:

-          L’evoluzione strutturale della logistica

-          Le politiche per la sostenibilità dei trasporti

-          Le politiche per la riduzione dei trasporti

 

1. L’EVOLUZIONE STRUTTURALE DELLA LOGISTICA

 

Normalmente si tende a immaginare che la domanda di trasporto merci si svolga schematicamente nel seguente modo:

- il produttore industriale o il distributore commerciale ha bisogno di trasportare un lotto di merce

- si informa sulle alternative di prezzo disponibili

- sceglie la modalità di trasporto più economica

 

Questa è in realtà una modalità minoritaria di domanda di trasporto (quella che si definisce trasporto occasionale o spot).

In realtà la domanda  di trasporto merci è normalmente un’attività pianificata in relazione alle esigenze produttive (esempio: alimentare di materia prima la produzione di pneumatici) o distributive (esempio: rifornire i magazzini della grande distribuzione della città di Milano). Più esattamente la domanda di trasporto non è altro che il risultato dell’organizzazione logistica di un particolare processo produttivo e distributivo. In altri termini: la domanda di trasporto merci dipende dal modo in cui è stato organizzato il flusso di materie prime, semilavorati, componenti e prodotti finiti; un flusso che parte dalle zone di produzione delle materie prime e arriva sino ai mercati di consumo dei prodotti finiti.

 

Se vogliamo dunque capire come sta cambiando la domanda di trasporto di merci, dobbiamo innanzitutto interrogarci sull’evoluzione dei processi logistici.

 

A questo proposito possono essere identificati tre importanti processi di trasformazione STRUTTURALE della logistica, che di seguito illustro schematicamente.

 

1° Processo – La deverticalizzazione

Siamo abituati ad immaginare che i prodotti che consumiamo siano prodotti all’interno di un qualche stabilimento industriale. Non è più così; da tempo ormai praticamente tutti i prodotti industriali che utilizziamo sono stati oggetto di un processo di deverticalizzazione: ogni fase di produzione viene svolta in uno stabilimento diverso. Ognuno di questi stabilimenti è collocato in zone diverse del continente e del globo, là dove è maggiore la specializzazione in quella specifica fase produttiva.

 

2° Processo – I magazzini viaggianti (o just in time)

Con la deverticalizzazione è diventata fondamentale la gestione dei magazzini. Prendiamo ad esempio l’assemblaggio di un automobile; è necessario che arrivino da parti diverse del mondo: il pianale, le ruote, il motore, le componenti plastiche, le componenti elettroniche, ecc. Servono allora dei magazzini per evitare che il processo debba fermarsi in attesa della componente mancante: ma magazzini molto riforniti costano (l’immobilizzo di merci in magazzino – o capitale circolante – richiede infatti un investimento ad hoc) e poco riforniti espongono al rischio di non avere più i pezzi necessari. La soluzione è stata introdotta dai giapponesi: aumentare la frequenza delle consegne – garantendone l’affidabilità – di fatto trasferisce in larga parte i magazzini sui mezzi di trasporto e consente di avere in sede dei magazzini di emergenza ridotti al minimo.

 

3° Processo – La globalizzazione

Ormai non sono più solo le fasi di lavorazione ad elevata specializzazione che si spostano in Paesi anche lontani. E’ tutto il processo produttivo che si trasferisce (delocalizza) nei Paesi che garantiscono basso costo del lavoro e un mimino di affidabilità istituzionale generale.

Anche i prodotti finiti non vengono più venduti solo nei paesi di produzione ma puntano a conquistare quote di mercato anche nei bacini di consumo più lontani.

 

Quali sono gli effetti sulla domanda di trasporto di merci di questi processi di trasformazione logistica?

E’ bene distinguere tra effetti quantitativi e effetti qualitativi.

 

Sulle qualità non c’è ombra di dubbio. La domanda di trasporto di merci ha preso a crescere a livello planetario ben oltre il livello di crescita del reddito e della produzione. Detto in altri termini: è aumentata l’intensità di trasporto della produzione e distribuzione di merci (il che è l’esatto contrario di quanto si prefiggeva la Commissione europea con il cosiddetto “disaccoppiamento”: far crescere il trasporto di merci meno della crescita della produzione).

Del resto ciò è ovvio se la tela di un jeans viene tagliata in Corea, tinta in Tunisia, cucita in Messico e etichettata a Malta. O se oltre il 50% dei giocattoli venduti nel mondo viene ormai da uno sconosciuto ai più distretto industriale cinese. O se quello che prima viaggiava in lotti consistenti e cadenzati usando treni e navi, ora viaggi in piccole partite ad alta frequenza usando il camion.

 

Quindi la prima conclusione è: LA TRASFORMAZIONE STRUTTURALE DEI PROCESSI LOGISTICI GENERA UN INCREMENTO CONSISTENTE DELLA DOMANDA DI TRASPORTO DI MERCI (SUPERIORE A QUALSIASI PREVISIONE BASATA SOLO SULL’INCREMENTO DELLA PRODUZIONE E DEL CONSUMO).

 

Ma c’è anche un effetto qualitativo.

La crescente complessità dei processi logistici (merci che viaggiano da una parte all’altra del pianeta e che devono arrivare al posto giusto nel momento giusto e in condizioni di usabilità e  vendibilità) ha portato le imprese di produzione e di distribuzione ad affidare a terzi le attività di trasporto (portando a quella che si definisce “esternalizzazione del trasporto” o outsourcing).

 

A chi vengono affidate le funzioni di trasporto prima esercitate direttamente: a dei grandi operatori specializzati proprio nelle attività di trasporto e di logistica?

Si tratta di grandi operatori che gestiscono i flussi di merci di più imprese; vengono per questo anche denominati “integratori”. Avendo a disposizione flussi consistenti e continuativi di merci da trasportare trovano più conveniente usare più spesso il treno o la nave. (Esempio: 10 divani da trasportare dalla Puglia in Germania andrebbero quasi sicuramente in camion; ma se i divani diventano 500 allora diventa economicamente sostenibile anche il treno).

 

Quindi abbiamo una conclusione di segno opposto a quella precedente: LA CRESCENTE COMPLESSITA’ DEI PROCESSI LOGISTICI HA PORTATO ALL’AFFERMAZIONE DI GRANDI IMPRESE DI TRASPORTO E DI LOGISTICA IN GRADO DI CUMULARE I CARICHI DI PIU’ CLIENTI E, PROPRIO PER QUESTO, DI USARE DI PIU’ IL TRENO E LA NAVE.

 

Ai nostri fini tutto sta a capire come si bilanciano i due effetti contrapposti:

trasformazione della logisticaàpiù trasporto di merciàpiù camion?

oppure

complessità della logisticaàpiù grandi imprese di trasportoàpiù treni?

 

In realtà questa era una domanda che si poteva porre dieci anni fa. Oggi è ormai chiaro che il processo dominante è quello della moltiplicazione dei flussi; la dirompenza della crescita della domanda di trasporto è tale da superare la capacità organizzativa delle grandi imprese di trasporto.

 

2. LE POLITICHE PER LA SOSTENIBILITA’ DEI TRASPORTI

 

L’approccio tradizionale per fronteggiare la crescita inarrestabile della domanda di trasporto e per ridurne gli effetti nefasti sull’ambiente e sulle popolazioni si basa su una serie di trasporti che sono ormai noti e condivisi.

 

Li illustrerò quindi solo schematicamente.

 

Primo strumento – Le tasse ecologiche sui trasporti

In sostanza si ritiene che la riorganizzazione della logistica che ha portato all’esplosione della domanda di trasporto non sarebbe stata possibile se il costo del trasporto includesse anche il valore economico dei danni ambientali, sanitari e sociali che esso genera.

 

Da qui l’idea di operare artificialmente questo aumento del costo del trasporto, applicando delle tasse pari appunto al valore dei danni generati. In particolare l’obiettivo è la redistribuzione tra modalità della domanda di trasporto: obiettivo che dovrebbe essere raggiunto applicando tasse minori sulle modalità ambientalmente meno dannose (nave, treno) e più elevate su quelle più dannose (camion, aereo).

In questa direzione si muovono le indicazioni europee per una “internalizzazione dei costi interni” (che non è altro che un modo contorto per dire che bisogna introdurre delle tasse ecologiche sui trasporti). E questo è quanto ha cominciato a fare di recente la Svizzera introducendo la TTPCP (tassa sui trasporti pesanti commisurati alle prestazioni) di cui certamente parlerà dopo Roman Rudel.

 

Secondo strumento – La politica industriale per l’ammodernamento dei trasporti

L’idea di fondo in questo caso è che – come prima accennato – la scelta di modalità di trasporto meno negative in termini ambientali dipende in misura non secondaria anche dalla capacità organizzativa delle imprese di trasporto. Si tratta allora di erogare incentivi e sostegni per favorire e accelerare i processi di outsourcing (cioè di affidamento a grandi gruppi logistici delle funzioni di trasporto usualmente svolte internamente) e per incrementare il ricorso al trasporto intermodale, ferroviario e marittimo.

Va in questa direzione uno dei programmi più di successo in materia di trasporto promossi dalla Commissione europea: il Marco Polo. Mentre si sta concludendo con successo la prima edizione, se ne sta organizzando la seconda che partirà nel 2007 con un budget almeno cinque volte più alto del precedente.

Anche il programma per il potenziamento delle cosiddette “Autostrade del mare” (trasporto con traghetti nazionali e internazionali dei semirimorchi stradali) si muove nella stessa direzione.

 

Terzo strumento – Il potenziamento della capacità di trasporto ferroviario

Se aumenta la domanda di trasporto e vengono attivate delle politiche per aumentare la quota del trasporto ferroviario diventa sempre più necessario aumentare l’offerta di trasporto ferroviario, specialmente nelle direttrici più colpite dall’incremento dei flussi. Il che può essere fatto in due modi:

-          ammodernando i servizi e le infrastrutture esistenti

-          costruendo nuove infrastrutture.

 

Proprio la costruzione di nuove infrastrutture richiede che si attivi anche una collaterale capacità di costruzione di occasioni pubbliche di discussione e di confronto di alternative (si pensi al debat public francese o ai referendum confermativi svizzeri).

 

In sintesi si potrebbe allora concludere che una buona politica per la sostenibilità dei trasporti dovrebbe comporsi di quanto hanno avviato gli Svizzeri proprio in tema di attraversamento alpino (referendum, TTPCP e nuove gallerie di base), affiancando i migliori interventi europei (Marco Polo e Autostrade del mare).

 

Ma come ho già anticipato, a mio parere anche questo non basta.

 

3. LE POLITICHE PER LA RIDUZIONE DEI TRASPORTI

 

Per quello che ho spiegato parlando delle trasformazioni strutturali della logistica, dovrebbe essere chiaro che oggi – e sempre di più in futuro – esistente una componente di flussi che attraversano le Alpi che non hanno origine in Europa, ma prevalentemente in Estremo Oriente.

Venti anni fa era di moda sostenere l’assurdità di flussi merci che provenivano ad esempio dal Giappone (ancora non c’era stato il boom della Cina) ed erano destinati a Milano o Torino ma, siccome i porti italiani erano inaffidabili e cari, approdavano a Rotterdam e ad Amburgo per poi arrivare in Italia passando per le Alpi.

 

Se quello era un assurdo (e lo era!) non si capisce perché non dovrebbe essere un assurdo anche l’idea opposta: attrarre a Genova (o a Napoli, o a Taranto) i flussi di merce provenienti dalla Cina e destinati alla Germania o alla Francia.

 

E invece in questi ultimi anni si è scatenata una vera e propria corsa – almeno nelle dichiarazioni d’intenti – a voler fare questo: a trasformare l’Italia in un nodo di scambio dei flussi intercontinentali di merce, a fare dell’Italia la “piattaforma logistica del Mediterraneo”. E di conseguenza si sono moltiplicati i progetti e le iniziative:

- da una parte ci sono gli organismi di attrazione degli investimenti esteri (le cosiddette agenzie di marketing territoriale) che a livello nazionale e in molte regioni (innanzitutto in Piemonte e in Campania) cercano di convincere i grandi operatori mondiali della logistica e del trasporto a porre le loro basi europee proprio in Italia

- dall’altra si costituiscono i raggruppamenti d’interesse per promuovere la costruzione delle nuove infrastrutture e far diventare i loro desideri elementi portanti delle priorità di ammodernamento delle reti europee. E’ in questa logica che vanno interpretate le nuove gallerie di base del Frejus e del Brennero e – da ultimo – il progetto del “corridoio dei due mari” che dovrebbe collegare Genova e Rotterdam rendendo necessario il terzo valico ligure e un nuovo tunnel anche per il Sempione.

 

Di fronte al sommarsi di uno scenario tendenziale di aumento dei flussi di trasporto e di un coagulo di interessi per catturare una quota crescente di flussi di solo attraversamento, gli interventi per la sostenibilità del trasporto attraverso le Alpi (tasse ecologiche,modernizzazione della logistica e delle infrastrutture) rischiano di essere inutili, se non addirittura controproducenti (dato che faciliterebbero il moltiplicarsi dei flussi, più che loro sostenibilità).

 

E’ invece è probabilmente necessario passare per una nuova opzione politica che riparta dalle fondamenta della politica di protezione delle Alpi. Un nuovo percorso logico è innanzitutto necessario:

-          per esplicitare l’incommensurabilità in termini economici del valore ambientale e umano del bene comune “Alpi” e definire a priori (e non scoprire a posteriori) la capacità di carico dell’ambiente alpino;

-          per passare di conseguenza dalla logica degli incentivi e disincentivi a quella del razionamento e dei divieti (da articolare differenziando i flussi di merce prioritari e quelli che non lo sono);

 

-          per impostare una politica di ammodernamento della logistica, non per razionalizzare i flussi a lungo e lunghissimo raggio, ma per riportare in ambito locale la produzione e il consumo delle merci (per promuovere dunque una “logistica del ciclo corto”); il tutto con evidenti effetti anche in termini di priorità infrastrutturali.

 

Questo nuovo approccio è definito – anche da autorevoli studiosi – della “decrescita”. A me questa definizione non piace perché dà l’idea di un tendenziale impoverimento. Preferisco invece parlare di “diversa qualità dello sviluppo”; in questo caso di “diversa qualità del trasporto”.

 

In ogni caso si tratta di un approccio che ha un evidente portato in termini di consenso (e anche di conflitto); non tanto riguardo alla costruzione di una singola infrastruttura e all’ennesima grande opera, quanto proprio sulla definizione di in un nuovo modello economico, sui cambiamenti che esso richiede e sui costi di transizione che certamente vanno sostenuti.

 

* Gerardo Marletto (1961) è professore associato di economia applicata all’Università di Sassari. Ha insegnato politica ed economia dei trasporti al Politecnico di Milano e all’Università di Roma – Tor Vergata ed stato per diversi anni responabile del centro studi di Federtrasporto. Negli ultimi anni si è occupato prevalentemente delle relazioni tra trasporti, ambiente e innovazione. Tra le sue ultime pubblicazioni: La politica italiana dei trasporti: una rilettura critica, Economia pubblica n.6/2004; Una politica industriale per un’altra mobilità, Economia Società Istituzioni n.1/2004.