Le mani della mafia sullo Stretto; i boss volevano costruire il ponte 

Anche i clan d´oltreoceano pronti a investire sul grande affare 
L´organizzazione voleva reinvestire i soldi ricavati da traffico di droga e riciclaggio 
Cinque ordini di arresto. Tra i fermati anche un ingegnere insospettabile 

di Marino Bisso e Salvo Palazzolo , da Repubblica del 12/2/2005  Pagina 13 - Cronaca

Non solo erano sicuri di potersi accaparrare gli appalti per la costruzione del ponte sullo stretto di Messina. Ma erano stracerti che avrebbero finanziato l´opera con 5 miliardi di euro, così da assicurarsi la gestione per trent´anni del business dei pedaggi, un affare da centomila passaggi al giorno. Così la mafia internazionale voleva reinvestire i capitali ricavati con il traffico degli stupefacenti e il riciclaggio di denaro: non solo nella realizzazione del ponte sullo stretto ma anche inserendosi in altri maxi appalti per ferrovie e autostrade.

 

Ma questa volta gli investigatori del centro operativo della Dia di Roma, comandati dal colonnello Paolo La Forgia e coordinati dal procuratore Italo Ormanni e dal pm Adriano Iasillo, hanno stroncato sul nascere il tentativo di infiltrazione nelle cosiddette 21 Grandi Opere.

Per i boss, il progetto era già entrato nella fase operativa, con la ricerca dei referenti a livello governativo, con le alleanze da stringere attorno a grandi società europee di costruzioni.

L´hanno ribattezzata operazione "Brooklyn": cinque ordinanze di custodia cautelare per associazione mafiosa. Il primo provvedimento è stato notificato nel penitenziario di Montreal al boss italo-americano Vito Rizzuto, da sempre legato alle famiglie siciliane dei narcotrafficanti Cuntrera e Caruana, l´artefice di un patto di ferro con la ‘ndrangheta e la camorra. Era lui l´organizzatore del progetto di infiltrazione nell´appalto per il ponte sullo stretto, era lui il regista dei finanziamenti da riciclare in Italia. La cella in cui era costretto dal gennaio 2004 non aveva fermato gli affari.


Il suo braccio operativo era un distinto ottantenne, il "commendatore" Giuseppe Zappia, ingegnere di origine calabrese, che è stato bloccato dalla Dia nella lussuosa abitazione ai Parioli, dove si era chiuso a chiave per sfuggire all´arresto.

Gli altri ordini di cattura internazionale hanno raggiunto Hakim Hammoudi, 42 anni, algerino, residente in Francia; Filippo Ranieri, 58 anni, broker finanziario in Canada e l´imprenditore cingalese Sivalingem Sivabavanandan, 52 anni, fermato a Londra. Nell´inchiesta sono finite altre dodici persone tra le quali un avvocato romano, diversi imprenditori e intermediari d´affari siciliani e parigini.

 

Gli uomini della Dia hanno perquisito le sedi delle società di costruzione italiane Astaldi e Impregilo poi anche le parigine Strabag e Vinci. Gli inquirenti cercavano documentazione interessante per la prosecuzione dell´inchiesta, ma per nessuna delle aziende, al momento, sono stati ipotizzati reati.

A Roma, la regia degli interessi mafiosi era curata dall´ingegnere Zappia, l´esperto di appalti internazionali che aveva già realizzato il villaggio olimpico di Montreal e altre infrastrutture negli Emirati Arabi: dopo tanti preparativi per il ponte, la sua società era stata poi esclusa nell´ottobre 2004 dalla gara di prequalifica tecnica. Ma le intercettazioni dicono che lui si era già messo in contatto con altre società per finanziare comunque l´opera. Con i soldi della mafia.

 

L´ALLARME 
 
Non basta indagare solo in Sicilia è a Roma il vero cuore dell´inchiesta

Un fiume di denaro pronto a tornare nell´isola dai forzieri americani di Cosa Nostra. Parla il procuratore di Messina 
"Fino a ieri ci siamo limitati al contorno della vicenda: ora dovremo arrivare al cuore" 
"Quest´opera collegherà l´isola e la Calabria ma è nella capitale che bisogna seguirla da vicino" 
 

di Attilio Bolzoni su Repubblica del 12/2/2005 Pagina 13 - Cronaca

La mafia è già sul Ponte.

Muta muta, prova a gettarsi da una sponda all´altra senza farsi notare troppo. Ma là sopra c´è, proprio su quella striscia di asfalto lunga 3300 metri che da Scilla prima o poi ci condurrà dritti dritti a Cariddi senza più prendere il ferry boat. C´è ma (quasi) non si vede. A chi la cercava, per un po´ lo ha portato a spasso fino ai soliti prestanome siciliani che trafficavano con i sub appalti e a quei «sottopanza» calabresi che compravano terreni e ancora terreni lì intorno, che già sfruttavano le cave di pietra e già avevano venduto sulla parola calcestruzzo a peso d´oro. Non l´avevano neanche immaginato che invece quelli lo volevano costruire tutto loro il Ponte sullo Stretto, che la volevano fare proprio con le loro mani la più grande opera mai vista da quelle parti. Con capitali che venivano da lontano, denaro molto «americano» sepolto per vent´anni chissà in quali forzieri di Montreal o di Caracas. «E così, adesso, siamo costretti a rivedere tutta la nostra strategia investigativa», confessa allarmato il procuratore capo della Repubblica di Messina Luigi Croce. Dimenticare quattro anni di indagini verso il basso e alzare il tiro, scoprire come Cosa Nostra vuole unire la Sicilia all´Italia.


La task force che avevano messo su era formata da una dozzina scarsa di poliziotti, sei o sette della Squadra mobile di Messina, gli altri tre o quattro della Questura di Reggio. Un buon lavoro di intelligence fissato in quattro «informative» consegnate ai magistrati siciliani e calabresi e poi girate al procuratore nazionale Vigna, un monitoraggio ai margini del Ponte che verrà, un´esplorazione che evapora davanti al grande business criminale intravisto tra Roma e il Canada. Annuncia il procuratore Croce: «Dobbiamo ricominciare daccapo, fino a ieri ci siamo limitati al contorno di questa vicenda: d´ora in poi siamo costretti ad entrare nel cuore».

 

Entrare nel cuore significa allargare di colpo il campo di indagine e, come sostengono gli investigatori, «arrivare a Roma dove ha sede legale la società Stretto di Messina».

Il primo passo sarà quello di costituire un pool giudiziario-poliziesco tra la capitale e le due regioni in fondo all´Italia, poi capire se stanno davvero tornando con il Ponte quei soldi sporchi accumulati con gli stupefacenti alla fine degli anni 70, quei «piccioli» che avevano fatto ricche quattro grandi «famiglie» originarie di un piccolo paese della Sicilia, i Cuntrera, i Caruana, i Mongiovì, i Giancardella. Erano tutti capi di Siculiana, una Wall Street della droga.


Nei prossimi giorni il procuratore di Messina incontrerà Vigna. Spiega ancora Croce: «A questo punto dobbiamo studiare un piano, intensificare la collaborazione con la procura di Roma e superare soprattutto le difficoltà per le competenze territoriali: il Ponte collegherà la Sicilia alla Calabria ma certi affari bisogna seguirli da vicino proprio a Roma». Un nuovo pool per nuove indagini, accantonando per un po´ quelle degli ultimi tre anni, quelle che il procuratore di Messina definisce «il contorno». Indagini su compravendite di terre nei paraggi delle punte di Sicilia e Calabria, trasferimento in massa di società dalla parte occidentale dell´isola (dal trapanese e dall´agrigentino soprattutto) alla provincia messinese, una penetrazione silenziosa per spartirsi tutto ciò che ruota intorno alla realizzazione del colossale lavoro.

O così almeno sembrava in un primo dossier consegnato alla Procura di Messina - e datato fine 2001 - dedicato alla valutazione dell´«impatto criminale» tra quei piloni che faranno diventare la Sicilia una «ex» isola. Ma quelle previsioni, quelle ipotesi investigative sono state smentite dall´ultima indagine della Dia, operazione che porta anche a nomi famosi della mafia più alta, la mafia legata a Siculiana, a quelli che la Drug Enforcement Administration considerava un tempo «i trafficanti di eroina più importanti del bacino mediterraneo».

 

 

LE INTERCETTAZIONI 


"Mi occupo io di tutto; ho già cinque miliardi" 

L´uomo mandato in avanscoperta dai clan 

"Il mio capo è come Saddam Hussein, quando lo prendono è la fine del mondo" 

di Marino Bisso e Salvo Palazzolo , da Repubblica del 12/2/2005  Pagina 13 – Cronaca

 

«Quando farò il ponte, con il potere politico che avrò in mano, lui tornerà qui». Era il sogno dell´insospettabile commendatore Zappia, accogliere in Italia l´uomo per cui lavorava, il capo della mafia canadese Vito Rizzuto. Finalmente, da persona libera.
E magari con un salvacondotto per le sue malefatte. «Non ti dimenticare - diceva l´ingegnere alla moglie - lui come è Saddam Hussein, quando lo prendono è la fine del mondo».

 

Poi il padrino finì in manette per davvero, all´inizio del 2004, ma i suoi grandi progetti non si fermarono: «Farò il ponte - ripeteva Zappia a Filippo Ranieri, il tramite con il Nord America - farò contenti la mafia di Sicilia e la ‘ndrangheta calabrese, che è più forte della cosa siciliana perché è basata su attività anche di influenza politica».

Il progetto dei boss era in espansione, i soldi non mancavano, e la fiducia nell´ingegnere Zappia, grande organizzatore, restava assoluta: «È la persona giusta che può collegare le persone più che le terre», dicevano di lui gli indagati mentre parlavano in libertà e non sapevano di essere intercettati.

Lui, d´altro canto, non aveva mai deluso. Si muoveva con disinvoltura anche nei palazzi della politica. Il 22 aprile 2004 fu intercettato al telefono mentre diceva che era stato «a una riunione con Salvatore Glorioso», che è il capo della segreteria del ministro degli Affari regionali Enrico La Loggia.

L´ingegnere Zappia restava il volto pulito e insospettabile. Rassicurava i suoi finanziatori occulti: «Quello di cui io ho bisogno è di uscire dalla riunione di questo pomeriggio con la facoltà di sedersi con il governo e di fare l´accordo che posso io arrivare con i miei finanzieri».

 

Così l´ingegnere spiegava la sua strategia: «I miei finanzieri non li svelerò a loro. Io ho due finanzieri, uno separato dall´altro, tutti e due sono pronti a mettere 5 miliardi di euro». Gli investigatori cominciarono a intercettare le prime telefonate sul ponte di Messina nel giugno 2003. Fu proprio Zappia a svelare involontariamente i progetti della mafia canadese: «Lei è al corrente che io voglio fare il ponte di Messina», diceva a un avvocato. E indicò pure da dove sarebbero arrivati i primi finanziamenti, «dalla riscossione di un credito negli Emirati Arabi».

 

Ecco come si sponsorizza una grande opera secondo i manager assoldati dai boss: ai punti «uno» e «due», l´imprenditore cingalese, raggiunto dall´ordine di cattura, metteva i canali di movimentazione dei soldi. «Il terzo punto è la mafia - diceva a Zappia - perché è la terra della mafia». E insieme progettavano la società che avrebbero dovuto lanciare nell´affare: «Non deve essere una scatola vuota, deve avere un ufficio con qualcuno in Sicilia».

Poi pensavano a tessere alleanze con altre società "pulite". Non furono scoraggiati per l´esclusione: «È una situazione che mi aspettavo - dice ancora Zappia - ciò che ci serve è parlare con sua altezza reale e tenere questa situazione con l´uomo numero uno, così possiamo andare avanti». La mafia sperava di poter finanziare comunque i lavori.

 

Ma chi sono «altezza reale» e «numero uno»? L´inchiesta della Dia non è finita.