Da Giaglione

In 6mila a piedi nei boschi. Aggirato il check-point, ripresa la baita-presidio

 

di Claudio Rovere da Luna Nuova del 5/7/11 – pag. 4

 

Giaglione - II fastidioso "tow-tow" delle pale dell'elicottero che per tutta la giornata ha sorvolato l'area tra Giaglione e la Maddalena rimarrà a lungo nelle orecchie di chi ha preso parte allo spezzone di corteo che domenica mattina ha raggiunto la baita-presidio ai limiti dell'area cantiere. Una presenza costante, fin dalle 10 del mattino, quando il serpentone, più snello di quello imponente partito da Exilles (si parla di 5-6mila persone, ma la stima nei boschi è piuttosto com­plessa), quando dopo aver superato le borgate di S.Giovanni e S.Lorenzo, dove è stata concessa la precedenza al corteo di priore e banda musicale per la festa del Corpus Domini, si è inoltrato tra le vigne in direzione di Chiomonte, su una strada sterrata molto stretta.

 

Poco dopo aver superato la cappella Borello, recentemente restaurata, al bivio che sale verso Giaglione alta, San Rocco in particolare, la spen­sieratezza di quella che sembra una tranquilla passeggiata fuoriporta, come evidenzia anche lo striscione di testa "Resistere con dignità per esistere con gioia" lascia presto il posto alla preoccupazione. Laggiù, in lontananza, a qualche centinaio di metri in linea d'aria, nel tornante della località "Pinet", poco prima dello svincolo di servizio dell'autostrada, il sole si riflette sui caschi dei carabinieri. Il cordone non appare molto corposo, ma gli scout mandati in avanscoperta parlano di una trentina di camionette poco sopra, pronte ad intervenire.

 

Così, dopo un primo momento di titubanza, l'intero corteo opta per aggirare l'ostacolo, pren­dendo la via della montagna. La mulattiera è ripida è sconnessa, ma le fronde dei castagni danno un po' di refrigerio e fiato anche a chi fatica di più. La località si chiama "La Pouiaa" e negli anni '70 era conosciuta dai giovani del posto come pista di motocross molto ruspante. Ora il bosco si è reimpossessato di tutto e rimangono soltanto i muretti a secco ai bordi della mulattiera. Sono rimasti posti "da bulé" (funghi porcini – ndr) e qualche manifestante riesce anche a portare a casa un piccolo ricordo della giornata che non sia il fastidioso "tow-tow" dell'elicottero, il crepitio dei lacrimogeni o il boato delle bombe carta.

 

E la mulattiera che si inerpica fino al Pian delle Ruine, ma i No Tav deviano prima, alla "Tzareina", antica borgata ormai quasi completamente diroccata. Una via di scorta, quella più breve per evitare il contatto con le forze dell'ordine, ma anche piuttosto tortuosa, tanto che i manifestanti per lunghi quarti d'ora sono costretti a fermarsi a causa di veri e propri ingorghi. Alla fine però tutti riescono a raggiungere, attraverso il sentiero che corre ripido lungo la sponda sinistra del Clarea, la baita del primo presidio.

 

La prima immagine che li accoglie appena oltre la barricata del ponte del Clarea è quella di un concitato gruppo di manifestanti che corre in direzione Giaglione, porta quello che sembra un fagotto, ma in realtà è il primo ferito di una lunga domenica, avvolto alla meno peggio in una coperta per poterlo trasportare. E' un uomo sulla sessantina, si è beccato un lacrimogeno sparato ad alzo zero nell'interno coscia. La fasciatura d'emergenza tampona un po' il sangue che esce copioso, ma per sua fortuna non è stata interessata l'arteria femorale. Dopo estenuanti trattative allo svincolo di servizio dell'A32 alla fine riesce ad essere caricato su un'ambulanza che lo trasporta all'ospedale di Susa. La battaglia, lassù sotto il viadotto, è appena all'inizio. Nelle orecchie dei manifestanti le pale dell’elicottero.

 

 

Qui Maddalena: pioggia di lacrimogeni per sei ore di fila

“Li abbiamo assediati tutto il pomeriggio: abbiamo vinto noi e torneremo presto”

 

di Paola Meinardi da Luna Nuova del 5/7/11 – pagg. 4-5

 

Chiomonte - Maddalena. Una pioggia di lacrimogeni, per sei ore consecutive. L'elicottero della polizia che sorvola il sito a bassa quota, senza tregua. L'area in cui do­vrebbe sorgere il cantiere vero e proprio del­l'alta velocità Torino-Lione, poco a valle del­la baita abusiva e della casetta sull'albero e fuori dall'area del sito archeologico recintato nei giorni scorsi, è stata teatro di una guerriglia senza precedenti, in valle di Susa, tra manifestanti anti-tav e forze dell'ordine. Gli agenti, barricati al di là delle reti e, in forze, sull'autostrada Torino-Bardonecchia, i cui piloni affondano negli stessi prati, hanno sparato gas lacrimogeni in ogni direzione per tentare di tenere lontana la folla, spesso mirando direttamente alle persone e causando molti feriti, colpiti alle gambe, alle braccia e al volto.

 

Da Giaglione, alla volta della Maddalena, è partito un corteo enorme. Migliaia di persone. Quasi impossibile quantificarle per la conformazione del territorio che non consente una visione d'in­sieme. La questura aveva definito questo spezzone «più critico» rispetto a quello istituzionale proveniente da Exilles. Tra i parte­cipanti ci sono alcune centinaia di ragazzi provenienti da Roma e da altre parti d'Italia, qualche france­se (tra cui un savoiardo in costume tradizionale) e tantissimi valsusini. Dal campo sportivo di Giaglione al presidio della Maddalena la strada non è lunga, perciò il corteo aspetta a partire, che da Exilles siano già un po' avanti. E aspetta anche che termini la celebrazione religiosa in borgata San Giovanni, che dovrà essere inevitabilmente attraversata.

 

Sono le 10,15 quando il corteo si mette in moto. Il primo blocco delle forze dell'ordine è sulla mulattiera che sfiora l'autostrada, dopo appena un quarto d'ora di cammino. Le persone, dunque, intraprendono la via dei boschi, seguendo il sentiero Gta che porta alla Maddalena. Un primo spezzo­ne di corteo scende e raggiunge la baita abusiva. Un altro si ferma a monte, qualche centinaio di metri prima poiché si è ancora in anticipo rispetto a chi arriva da Exilles. Mentre il grosso del corteo si mette nuovamente in moto comincia ad arrivare l'eco degli spari dei lacri­mogeni e, quando arriva alla baita, è già guerriglia.

 

L'indicazione è quella di «an­dare a far pressione alle reti». Il problema è che, senza maschera antigas, vicino alle reti è molto difficile restare. Gran parte dei valsusini, dopo lo sgombero di lu­nedì notte, erano arrivati attrezzati: bandane, acqua, limoni, Maalox, occhialini da nuoto e maschere, caschetti da cantiere e da moto. Tuttavia, senza le maschere antigas è davvero impossibile resistere, perciò arriva l'indicazione di darsi il cambio e di portare acqua a chi riesce a restare su, facendo il giro dai boschi.

 

I giovani dei centri sociali e quelli un po' più attrezzati si av­vicinano di più, gli altri un po' meno ma le forze dell'ordine non si limitano a tenere lontana la gente dalle reti. Da sotto l'autostrada i manifestanti gridano cori «Giù le mani dalla val Susa», suonano tamburi e provocano gli agenti. Da sopra, gli agenti cadono nelle pro­vocazioni e sparano lacrimogeni con traiettorie dirette anche su chi dalle reti è ben distante.

 

La nebbia del gas non stagna. Il vento spira in direzione del museo archeologico, in cui sono asserra­gliati centinaia di agenti. I ragazzi con le maschere raccolgono alla svelta i lacrimogeni che cadono vicino alle persone e li spengono in secchi d'acqua. «L'area del cantiere l'abbiamo ripresa - grida Maurizio Piccione al megafono - Perché l'area in cui dovrà sorgere il cantiere è questa e non quella che hanno recintato lassù».

 

I cellulari funzionano pochissi­mo. Si comunica solo attraverso gli sms. Le notizie che arrivano dalla Ramats e da Exilles sono frammentarie ma quando si viene a sapere che alla centrale è andata giù la rete scoppia un applauso. E giù lacrimogeni. «Vergogna, vergogna», grida il popolo No Tav. Molti non riescono a credere a ciò che vedono. Anziani e ragazzi, feriti dagli spari dei lacrimogeni vengono trasportati nella baita per ricevere le prime cure. Pronti a tutto, i valsusini, si sono portati dietro vere e proprie farmacie.

 

Verso le tre e mezza del pome­riggio, nella boscaglia accanto alle reti si sviluppa un incendio, probabilmente a causa di un la­crimogeno. Le forze dell'ordine non intervengono e l'incendio si allarga. Alcuni dei ragazzi cercano di spegnere le fiamme che danno sul sentiero utilizzando mezzi di fortuna. Passa parecchio tempo prima che, dall'autostrada, si azioni un idrante e, finalmente, l'incendio venga spento. Più o meno nello stesso momento da brandelli di recinzione si intravede ciò che sta accadendo sopra, dallo spezzone arrivato dalla Ramats, dove i manifestanti sono riusciti ad aprire un varco nelle reti e cer­cano di scendere verso il museo archeologico.

 

Verso le quattro e mezza, l'ul­timo tentativo di salire verso le reti dai boschi circostanti. Una quarantina di persone partono ma vengono respinte con i lacrimoge­ni. Intorno alle cinque, la gran parte dei manifestanti si ritira intorno alla baita. «Li abbiamo assediati per ore - tira le fila Piccione, ancora al megafono - Abbiamo vinto e torneremo».

 

L'ultima fatica è rientrare. Si potrebbe passare dalla mulattiera accanto all'A32, ma c'è ancora il blocco degli agenti. «Non passia­mo sotto le forche caudine», dice Nicoletta Dosio. Si ritorna nei boschi, sui sentieri del mattino, e infine alla macchina, a Giaglione. C'è chi si è portato persino il fornelletto e la pietra e ha già messo su due o tre salamelle per la cena.