Don Ciotti: "Molto attenti alle infiltrazioni dei clan"

Chiamparino: fare chiarezza ma i nostri appalti sono puliti

DUE INCHIESTE IN CORSO Sugli intrecci di appalti droga, famiglie e omicidi insoluti sotto la Mole

Il pentito Varacalli e le infiltrazioni della ‘ndrangheta

 

di Niccolò Zancan da La stampa del 16/12/09 – pag. 64

 

Il sindaco Sergio Chiam­parino: «Non c'è niente di peggio di un alone di sospetto. Per questo mi auguro che sia fatta la massima chiarezza. Noi sia­mo tranquilli. Quando siamo stati stazione appaltante ab­biamo sempre rispettato i protocolli più rigorosi. Se so­no stati commessi dei reati, non è sicuramente attraver­so la pubblica amministrazio­ne. Mi auguro che la magi­stratura accerti ogni respon­sabilità: nomi, cognomi e in­dirizzi».

 

Riassunto brutale delle puntate precedenti: anche Torino ha il suo pentito di mafia. Si chiama Rocco Varacalli, 39 anni, nato a Natile di Careri. Per vent'anni ha traf­ficato cocaina ed eroina dalla Calabria al torinese. Ha sve­lato la storia di tre omicidi. Ha raccontato nei dettagli l'evasione del carcerato Vin­cenzo Curcio. Ha verificato da molto vicino - soprattutto - come la 'ndrangheta ricicli fiumi di denaro sporco negli appalti, piccoli e grandi, del nordovest. Nuovi palazzi, olimpiadi invernali, il passan­te ferroviario, l'alta velocità. Ha spiegato come sia riusci­ta ad entrare quasi ovunque con il sistema dei subappalti. In un'intervista alla Stampa, ieri ha detto: «Ho fatto più di 450 nomi ai magistrati. Fino­ra è emerso solo il 30 per cen­to di quanto ho dichiarato. Ci sono grandi imprese edili che lavorano indisturbate da anni. La 'ndrangheta ha fatto il salto di qualità quando è riuscita ad agganciare inso­spettabili commercialisti, tecnici e politici».

 

Di sicuro ci sono due in­chieste in fase avanzata, coordinate della Procura di Tori­no. Una è dei carabinieri del comando provinciale, l'altra della Dia: famiglie, appalti, al­tri omicidi insoluti. Si cerca­no riscontri alle dichiarazioni di Varacalli.

 

Don Luigi Ciotti, presiden­te di Libera, l'associazione che combatte le mafie in tutta Italia, aveva lanciato l'allar­me in tempi non sospetti. To­rino e il Piemonte non sono - non erano - indenni da questo tipo di problemi. «Sta trovan­do conferma quello che la commissione parlamentare antimafia aveva già segnalato più di un anno fa - spiega Don Ciotti - una segnalazione mol­to attenta, puntuale e non gri­data, che bisognava cogliere. Ma devo dire che trovano pro­va anche le preoccupazioni che le associazioni, Libera in testa, avevano manifestato in modo discreto. Qualcuno si era anche un po' irritato. Di­ceva: "Non è possibile". Ma io credo che sia giusto manife­stare le preoccupazioni e con­dividerle. Perché tutti cono­sciamo la capacità di infiltrarsi da parte delle organizzazio­ni criminali, con modalità sempre più sorprendenti».

 

Non è senno di poi: «La no­stra preoccupazione di allo­ra, oggi si tocca con mano. Viene confermato che in que­sta città dobbiamo sempre stare molto attenti, non dare nulla per scontato. Vuole esse­re un richiamo alla correspon­sabilità, al contributo che ognu­no deve portare. Non dimenti­cando che Torino e il Piemonte hanno gli anticorpi per reagire. Qui abbiamo pagato prezzi al­tissimi. Penso all'omicidio del Procuratore Bruno Caccia».

 

Che la mafia, e in particola­re la 'ndrangheta calabrese, fossero forti su questo territo­rio era evidente in un dato che si può consultare proprio sul si­to di Libera Piemonte: sono 121 i beni confiscati ai mafiosi. «Questo è quello che emerge oggi - dice don Ciotti - ma chis­sà quanto di più c'è». Le inchie­ste aperte grazie alle dichiara­zioni di Rocco Varacalli, unico collaboratore di giustizia in Pie­monte, promettono di svelare il sommerso.