Pro Natura Piemonte

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Osservazioni sulla perizia presentata dalla De Palacio

 

La cosidetta “perizia indipendente” presentata il 26 aprile dalla responsabile europea del progetto della Lione-Torino merita qualche commento, per quel che dice e per quel che non dice.

 

Anzitutto gli autori. Sono un gruppo di tecnici di una società di consulenza; non si tratta di docenti universitari o di funzionari pubblici, che possono essere economicamente indipendenti da questo tipo di incarico, ma membri di una di quelle società che fanno gli studi di V.I.A. per conto delle aziende. Un’attività che è così a rischio di “manipolazioni” a favore di chi dà la commissione che la normativa italiana richiede una dichiarazione giurata degli autori sulla veridicità dei dati e dei contenuti del lavoro prodotto.

Il loro incarico è strettamente limitato alla tratta tra Saint Jean de Maurienne e Chianocco. E se teniamo presente che, sulla parte italiana di questa tratta, che rappresenta solo il 30%, il CIPE – che non ci è certo favorevole – ha inserito 89 specificazioni e 6 raccomandazioni, si può valutare l’ottimismo con cui questa perizia risponde sempre di “sì” ai 45 quesiti di conformità che si pone. Una percentuale “bulgara”, come si diceva ironicamente una volta, che basta da sola a sollevare parecchi sospetti.

 

Ma veniamo anzitutto a quello che questo studio “non dice”.

Non dice nulla di trasporti. Invano, scorrendo le 170 pagine della relazione e le 50 di allegati, si cercherebbe un dato sul traffico attuale, su quello futuro, sul numero dei TIR che ci sono o che si prevedono di avere: assolutamente nulla. Gli esperti non si addentrano nella valutazione del perché si deve fare quest’opera, ma neppure ne riprendono degli argomenti. È vero che dedicano 30 pagine ad un fumoso calcolo della capacità della linea storica, ma il fatto che possa trasportare 18 o 19 milioni di tonnellate non significa niente se non si specifica quanto si pensa che sia la necessità di trasporto. È tragicomico che una questione di tale importanza venga liquidata con cinque parole: “quindi nel 2020 sarà satura”, senza dare un grafico o qualsiasi altro dato che possa giustificarla. Nel 2005 il traffico ferroviario ed autostradale tra Italia e Francia, nel settore alpino, è stato inferiore a quello del 1993, quando partì il progetto, ma questo viene ignorato e si ripete la solita, vecchia affermazione sulla saturazione che è già stata smentita per il 1997, per il 2005 e che si dimostra sempre più irrealistica. Come si può affermare che gli studi sono “coerenti e completi” se non si affronta l’argomento principale, quello da cui poi deriverebbe la dimensione del progetto, l’esame delle alternative e della “opzione zero”?

Forse la decisione di non citare dati nasce dal timore di compromettersi ed infatti l’unico dato che usano suona male per i loro progetti: è là dove scrivono che, a parità di peso, un treno merci ordinario trasporta in un anno 165.000 tonnellate nette, mentre uno di Autostrada Ferroviaria ne trasporta meno della metà (75.000 tonnellate nette), con tutto l’aggravio di costi e spreco energetico che ne consegue.

 

Ma veniamo alle parti dove gli esperti hanno lavorato di più e cioè sui problemi idrogeologici e delle materie pericolose, giungendo alla solita conclusione che LTF ha fatto tutto in modo coerente ed appropriato.

Curiosamente i due documenti che “salvano” gli studi LTF sono datati dicembre 2005 e gennaio 2006, ben dopo la decisione di fare una perizia, e mai pubblicizzati, anche se si tratta di documenti che sarebbero stati indispensabili per la Valutazione di Impatto Ambientale fatta nel 2003.

Quello sui problemi idrogeologici informa che le gallerie della parte internazionale (cioè escluse quelle della bassa valle) dreneranno ogni anno da 60 a 125 milioni di metri cubi di acqua (p. 48); e quest’ultimo dato sembra più coerente visto che a Mondane il primo chilometro di galleria sfiora i 6.000 metri cubi di acqua l’anno. È difficile credere che l’imponente drenaggio annuale di un quantitativo di acqua poco meno grande del Lago del Moncenisio “avrà effetti minimi” e si stenta a credere che il relativo abbassamento di falde avrà poca influenza sia sulla alimentazione del lago che su tutta la rete idrica che viene da quelle montagne. Anche perché poche righe più avanti si ammette il rischio che la galleria “dreni” l’Arc ed altri corsi d’acqua.

Ma i dati ancor più preoccupanti consiste nel fatto che le acque usciranno tiepide, dovranno essere raffreddate in un bacino che creerà nebbie e non potranno essere utilizzate – tranne qualche vena potabile – perché, con ogni probabilità, conterranno gas radioattivo (radon) e solfati oltre i limiti di legge. Non è chiaro se la perizia si riferisce solo al radon quando parla di acque che possono essere tossiche, ma comunque ammette che le conseguenze dell’immissione di tali dati drenaggi nei corsi d’acqua sono un problema grave e che non è ancora stato valutato (p. 59).

 

Gli studi sulla radioattività iniziano con una corretta esposizione di cosa sia il radon: il sesto elemento della catena dell’Uranio 238, che si presenta sotto forma di pericolosissimo gas. Si ricorda che è otto volte più pesante dell’aria e che può venire veicolato dalle acque sotterranee, che poi lo liberano venendo in superficie. Questa premessa si scontra però con la necessità di giustificare l’affermazione LTF “che il rischio uranio e radon sono nulli”. Ed allora l’esperto o chi ha poi messo insieme il dossier sfodera gli argomenti LTF: nelle 8.000 misurazioni fatte su rocce tratte dai carotaggi non è risultato alcun valore sopra la norma (ma non dice che i carotaggi del massiccio dell’Ambin, su circa la metà della lunghezza del tunnel di base, sono meno del 10% del totale) e calcola che la dose di radiazioni annuale assorbita da un operaio che lavorasse tra rocce come quelle in cui si apre la galleria dell’Agip Mineraria di Venaus – ovviamente non a contatto – sarebbe ancora ammissibile. Qui il trucco – molto grave perché si parla di salute umana – sta nel tacere che la gran parte della radiazione prodotta da queste rocce non arriva alla persona in forma diretta, perché le particelle alfa e beta in questione, avendo una massa relativamente grande, urtano le molecole circostanti e si fermano in qualche decina di centimetri. Mentre la radioattività che ci raggiunge e che troviamo nell’intorno è quella veicolata da radon e polveri, che esprimono il loro potenziale distruttivo venendo a contatto diretto della pelle e delle mucose polmonari.

 

Per quanto riguarda l’amianto, ci si dilunga sulla protezione degli operai che lavorano nei cantieri, richiamando le norme usate nel tunnel svizzero del Gottardo. Ma le condizioni di quel traforo sono ben diverse da quelle della valle di Susa, soprattutto nel tratto della bassa valle che lo studio ignora e in cui si trova la maggior presenza di rocce amiantifere. È però interessante apprendere che la galleria di Bussoleno, in cui la presenza di amianto era stata lungamente messa in dubbio ed addirittura negata con l’ultimo sondaggio, è stata recentemente spostata per ridurre l’attraversamento di rocce amiantifere, e in questo modo passerebbe da 2,2 km a 1,1 km (che rappresenterebbero comunque 300.000 metri cubi).

Purtroppo per noi la quantità globale di amianto che dovrebbe essere estratta dalle nostre montagne non è insignificante come al Gottardo, dove può effettivamente bastare indossare tute stagne, mettere i respiratori e lavorare sotto spruzzi d’acqua, che però non sappiamo come verrà trattata. Da noi il problema non è solo la qualità del materiale, ma la quantità e la totale assenza di indicazioni per il loro trattamento e la messa a dimora; tant’è che dopo tre anni dalla presentazione della V.I.A. non è ancora stato indicato nessun sito specifico. La soluzione di “fare come fanno gli Svizzeri”, che quando trovano delle rocce amiantifere le portano in discarica e le sotterrano è (forse) proponibile dove i quantitativi sono minimi e la cosa si risolve in pochi giorni, non qui dove le rocce amiantifere sono dell’ordine di milioni di metri cubi, disomogenee e comporterebbero cave aperte per anni in posti sensibili. Però anche questa parte dello studio di LTF, che non indica siti di deposito per i materiali tossico-nocivi, viene ritenuta coerente ed esauriente da parte dei periti della De Palacio.

 

Come viene ritenuto coerente ed esauriente che la Valutazione di Impatto Ambientale sia stata approvata senza avere una discarica a disposizione, visto che la “cava del Paradiso”, che si era data per acquisita, andrà ad essere richiesta solo il mese prossimo ed è ancora molto incerto se sarà autorizzata.

Sulla correttezza di questo caso gli esperti indipendenti la sparano grossa e difendono LTF dall’accusa di aver violato la direttiva comunitaria che imponeva procedure di Valutazione di Impatto Ambientale sia in Italia che in Francia, sostenendo che bastava che lo sapesse la CIG (la Commissione che approva i progetti della Torino-Lione), dimostrando di non conoscere che l’elemento fondamentale di una V.I.A. è la possibilità che tutti i cittadini interessati possano esprimere il proprio parere.

 

Le osservazioni e le critiche a questo lavoro riempiranno un dossier, ma non si può terminare senza citare una frase: “Gli esperti non dispongono di informazioni sulle fonti di finanziamento (dell’opposizione al progetto), che meritano di essere esaminate al fine di vedere quali sono le lobbies che possono nascondersi dietro a questi gruppi di pressione”. Questa affermazione, oltre che calunniosa, è gravissima, perché è fuori dal contesto dell’incarico ed è evidentemente messa lì solo per screditare il movimento di fronte ai funzionari e ai parlamentari europei di Bruxelles. Un gesto che mostra più di ogni altra cosa quali siano gli scopi, il valore e l’imparzialità i questo lavoro.

 

Mario Cavargna

                   è strettamente limitato alla tratta St. rodotto.veridicti da questo tipo za; non si tratta di docenti universitari o di funzion

 3 Maggio 2006