Quelle GRANDI OPERE realizzate soltanto sulla lavagna di Vespa
di Attilio Giordano (il Venerdì di Repubblica 13/12/2002)

Le cartine, lo show inTV: era il 2000 e il candidato Silvio prometteva di rifare l'Italia dalle Alpi alla Sicilia. Fino ad oggi, non si è visto nulla. Ma qualcosa sta per nascere…. L'ennesimo gioco di scatole cinesi. In cui ci rimetteremo tutti.

Proprio due anni fa, di questi tempi, la televisione italiana registrò una performance televisivo-politica che resterà negli annali di viale Mazzini. Il candidato Silvio Berlusconi, munito di grandi fogli e pennarello, spiegò a Bruno Vespa e agli ascoltatori-elettori quali sarebbero state le grandi opere che il suo futuro governo avrebbe realizzato. Incontenibile. Ricorda l'allora ministro dei Lavori Pubblici Nerio Nesi: <<Rimasi di stucco. Aveva preso il mio piano delle opere da realizzare e lo stava illustrando>>. Ma si sarebbe potuto andare anche più indietro. Ricorda un altro ex ministro dei Lavori Pubblici, Antonio Di Pietro: <<Quando nel 96 arrivai al ministero, quel piano stava già li. Le cartine, proprio quelle, erano a matita. Berlusconi, in TV, ci passò il pennarello sopra. Addirittura da giuduce, durante Mani Pulite all'inizio degli anni 90, avevo già incontrato quella lista di opere: a verbale avevo imprenditori che, per quei lavori, avevano già previsto relative tangenti>>. Berlusconi, tuttavia, aggiungeva alla solita minestra un apparato comunicativo che la riscaldava e le dava nuovo sapore. Sottointendendo: noi si che realizzeremo veramente queste cose. Sono passati due anni da allora e un anno e mezzo dalla nascita del suo governo. Ma i fatti non gli danno ragione.

La propaganda, a contatto con la realtà, ha avuto una specie di reazione chimica. 
E ci si è resi conto che, stante anche la crisi del bilancio, i soldi per realizzare quelle opere non c'erano affatto. E che il nuovo lessico inglese (project financing e general contractor), da solo, non bastava a reperire le risorse. A questo punto, e con la perdita di tempo relativa, si è messo in moto un meccanismo che vale la pena di raccontare. E che dovrebbe dar luogo almeno all'apertura di qualche cantiere. Il ministro Pietro Lunardi, dall'inizio oggetto di feroci attacchi all'interno del Governo, è stato messo un po' da parte. Si mormorò di sostituirlo con il vice-ministro Ugo Martinat di AN. Ma, intanto, il collega Giulio Tremonti, con i suoi boys, aveva preso la cosa in mano e aveva indicato la via da seguire. E' stato proprio il direttore generale del Tesoro, Domenico Siniscalco, ad illustrare in una audizione alla Camera, quali sono i progetti che partiranno per primi: <<Ne abbiamo scelti alcuni>>, ha detto Siniscalco il 22 Ottobre scorso alla commissione Ambiente, Territorio e Lavori Pubblici. E li ha elencati: l'autostrada Asti-Cuneo, la Salerno-Reggio Calabria, e le tratte dell'alta velocità ferroviaria: Verona-Padova, i nodi di Napoli e Bari, la linea C della metropolitana di Roma. Sono alcune delle 21 grandi opere già delineate dal Dpef varato dal governo, sotto la specie di "opere di serie A". Opere che possono essere eseguite con un regime "speciale" e la cui previsione di spesa è di circa 125 miliardi di Euro. Dove prendere i soldi? Berlusconi e Tremonti hanno sempre parlato, genericamente, di "intervento dei privati". Insomma, uno immagina imprenditori che affrontano il rischio e investono su opere che, domani, renderanno. Non è così. I privati non sono nient'altro che le banche, come ha spiegato bene Siniscalco in commissione. Che dovrebbero mettere a disposizione i soldi garantite dal Tesoro. Una curiosissima pratica per un governo sedicente liberale: si trasferisce il rischio di impresa dal privato allo Stato.

Il general contractor è, in pratica, un appaltatore generale dell'opera. 
Uno che si prende la responsabilità di progettarla, di realizzarla, di sub-appaltare ciò che occorre. Ma non di gestirla per rifarsi delle spese. E' un caso unico in europa. Poiché si ha un appaltatore con i poteri del concessionario, ma senza i rischi di chi gestisce l'opera. Detto altimenti: lui lavora e incassa e se anticipa soldi li ottiene dalle banche con la garanzia dello Stato. <<Ma c'è un problema>>, osserva Ivan Cicconi, direttore dell'Istituto emiliano di servizi alle imprese Quasco: <<Il general contractor, in queste condizioni, tenderà a far durare i lavori più a lungo possibile e a farli costare di più. Perché questo è il suo interesse di impresa e senza rischio di gestione viene meno la volontà di ridurre tempi e costi>>.

Inoltre il general contractor, una volta scelto attraverso gara, non è obbligato a tenere, a sua volta, altre gare. 
Il che potrebbe essere accettabile, ma non sempre si adatta bene alla situazione italiana. Dove ci sono pochissime grandi imprese e una miriade di medie e piccole che, con questo sistema, rischiano di essere prese per il collo da chi ottiene i lavori. Lo dice senza mezzi termini il presidente dell'associazione costruttori (l'Ance, 17.000 associati), Claudio De Albertis che in queste settimane sta tentando di far passare almeno alcune garanzie, come l'obbligo di rendere noto il pool di imprese che opererà prima di presentarsi alla gara. Per evitare, appunto, un eccesso di potere del general contractor. E' poi ancora da valutare come questo tipo di grande appalto, cui seguono i sub-appalti senza controllo alcuno, potrebbe tradursi in realtà particolari del Mezzogiorno. Dove molta imprenditoria è controllata dal crimine. Lo schema operativo di queste grandi opere è lo stesso adoperato per l'Alta velocità. Spiega ancora Cicconi: <<Il sistema fu inventato dal fantasioso ministro Paolo Cirino Pomicino. Si crea una società dalla costola delle Ferrovie, la Tav, che assegna i lavori alle solite grandi imprese. Il secondo passo è il project financing che consente di attivare finanziamenti privati. Che sono prestiti alla Tav spa, garantiti dallo Stato. Ora, se si sostituisce a Tav Spa la Infrastrutture Spa si ha lo schema per le grandi opere>>.

A proposito della Tav, d'altronde, c'è una storia illuminante. 
Negli anni 96-97, il conflitto tra i piccoli imprenditori e i grandi che lavoravano per la Tav (e uscirono dall'Ance), era al culmine. L'associazione delle imprese medio-piccole produsse un documento-bomba dove si diceva che, rifacendo quei contratti, e pur pagando le penali, lo Stato avrebbe comunque risparmiato circa 5.000 miliardi. Dopo lunghissima riflessione, arriviamo al 2000, il ministro Pierluigi Bersani annullò i contratti. Il nuovo Governo li ha ripristinati. Tali e quali. Qual è il movente di questo modo di operare? Intanto reperire fondi che non ci sono e poter avviare i cantieri promessi. Secondo: spostare su una società privata un rilevante deficit pubblico che all'Unione Europea non risulterà e ci consentirà di non sforare sugli impegni comunitari.

Della Tav sappiamo già alcune cose che ci fanno immaginare un futuro piuttosto fosco. Come ha operato questa società? 
Con il 40% di denaro dello Stato e il 60% prestato dalle banche su garanzia dello Stato. Nessuno sa quali debiti abbia oggi Tav Spa, i cui bilanci sono ignoti. Tanto meno lo sa Bruxelles che non conosce questa passività occulta dello Stato italiano. Se prendiamo la tratta Bologna-Firenze si possono fare due conti: dopo 11 anni (da Settembre 1991) i cantieri non sono ancora chiusi e i tempi di lavoro sono raddoppiati; il costo è cresciuto dai 2100 miliardi (di Lire) di previsione a 8150 miliardi, quasi quattro volte. Se trasferiamo l'esempio, identico, sul ponte di Messina, possiamo immaginare che i 10.000 miliardi di Lire (ottimisticamente) stimati diventeranno molti di più e i tempi saranno biblici. Lo Stato rischia? Moltissimo. Ad opera conclusa si devono restituire alle banche i capitali anticipati per i quali, durante l'opera, si sono versati solo gli interessi. Si potranno ammortizzare questi costi con il ricavato della gestione? <<L'esempio Tav dice di no>>, afferma Ivan Cicconi, che ha fatto i calcoli. <<E' un equilibrio impossibile: per l'alta velocità si dovranno restituire circa 5.000 miliardi l'anno alle banche contro circa 500 che, ad essere generosi, se ne potranno ricavare. La differenza? La pagheranno gli Italiani>>.

Solo che questo problema si presenterà tra molti anni: 7, 8. E per le Grandi Opere ancora più in là. 
Chi ci sarà allora al Governo? Chissà. E, dunque, chi se ne importa? Il Tesoro ha messo a punto (o quasi) la sua scatola nera: "Infrastrutture Spa". Naturalmente ci sono opere che stanno in piedi da sole. Ricorda Nesi: <<Un imprenditore famoso venne da me ad offrirsi per l'autostrada Milano-Brescia. Gli dissi: guarda che c'è la fila, lì i soldi si recuperano rapidamente. Chi avrà quell'appalto dovrà fare anche la Salerno-Reggio Calabria. Non lo vidi più>>. La prospettiva, dunque, è la realizzazione di opere nel Nord ricco e l'ulteriore arretramento strutturale del Sud. Questo gran passaggio di soldi finti, da Monopoli, attenderà il giorno dell'Apocalisse. Quando bisognerà che qualcuno restituisca i prestiti. E allora la reazione chimica si invertirà e tutto ridiventerà reale. Come è successo all'improvviso -il paragone è dell'economista Marcello De Cecco - in Argentina.

Quei costi cresciuti ad Alta velocità

Tratte ad alta velocità

Costo previsto
Agosto 1991

Costo
Agosto 2001

Stime di costo
Maggio 2002

Napoli-Roma 3.900,00 9.650,00 12.700,00
Roma-Firenze 400,00 680,00 1.500,00
Firenze-Bologna 2.100,00 8.150,00 9.900,00
Bologna-Milano 2.900,00 11.100,00 13.400,00
Milano-Torino 2.100,00 5.400,00 9.300,00
Milano-Verona 2.200,00 n.d. 9.100,00
Verona-Venezia 1.700,00 n.d. 8.200,00
Genova-Milano

3.100,00

n.d.

12.100,00

TOTALI in Miliardi Lire

18.400,00

 

76.200,00

in Milardi di Euro

9,50

 

39,35