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Pfas nelle acque: c’entra il cantiere Tav?

Di Marco Giavelli da Luna nuova del 13-02-2024

 

Senza creare inutili allarmismi, è evidente come la “bomba d’acqua” lanciata nei giorni scorsi da Greenpeace Italia sulla contaminazione da Pfas presente nelle acque potabili del Piemonte stia suscitando non poca preoccupazione e dibattito fra cittadini, istituzioni, tecnici e addetti ai lavori. La Smat, e di riflesso molti comuni che hanno affidato la gestione del servizio idrico integrato alla società metropolitana, ha subito rassicurato sul fatto che l’acqua potabile distribuita nel Torinese rispetti tutti gli standard di sicurezza e qualità prescritti dalla legislazione vigente: i valori di Pfas riscontrati sono tutti, infatti, al di sotto della soglia attuale e di quella che entrerà in vigore dal 2026. Ci si chiede tuttavia da dove possano provenire le concentrazioni di Pfas e in particolare di Pfoa (una molecola del gruppo dei Pfas classificata come cancerogena per gli esseri umani) evidenziate nel rapporto di Greenpeace, basato su dati ufficiali degli enti pubblici piemontesi ottenuti dall’organizzazione ambientalista tramite istanze di accesso agli atti.

 

E un’ipotesi, secondo il bussolenese Mario Cavargna, tecnico di fiducia del movimento No Tav in possesso di un master europeo in ingegneria ambientale al Politecnico di Torino e di Losanna, è che anche il cantiere Tav di Chiomonte possa avere in qualche modo influito sulla questione Pfas.

 

«Gli usi dei Pfas sono moltissimi ed ancora molto sconosciuti - introduce Cavargna - la raccomandazione delle autorità sanitarie è quella di accertare la eventuale presenza di inquinamenti, cercarne le origini e vagliare gli indizi. La segnalazione che a Vicenza si è verificato un inquinamento legato a Pfas usati per il cemento a rapido indurimento utilizzato per il rivestimento di una galleria della Pedemontana, ed il possibile uso di prodotti contenenti Pfas per impermeabilizzazioni o per prodotti oleo o idrorepellenti usati per le Tbm (talpe meccaniche - ndr) che scavano le gallerie, andrà verificata». Una problematica simile è emersa anche in Svizzera, con la presenza di Pfas in alcuni campioni d’acqua potabile prelevati nel Canton Ticino (comuni di Capriasca e Sant’Antonino) e riconducibile, a quanto pare, a materiali utilizzati nella realizzazione della galleria di base ferroviaria del monte Ceneri, lunga circa 15 km, che rappresenta la continuazione verso sud di quella del Gottardo tra Lugano e Bellinzona.

 

Ma torniamo alla valle di Susa. Tra i vari dati resi pubblici da Greenpeace, il più eclatante (96 nanogrammi per litro) è quello registrato da Smat il 29 marzo 2023 nella rete potabile della frazione Madonna della Losa nel Comune di Gravere, a oltre mille metri di altitudine. È proprio su questo valore che si concentra il ragionamento di Cavargna: «Per il momento si possono fare indagini solo per spiegare le ragioni dei picchi riscontrati. Quello massimo che è stato registrato alla Losa, sulla montagna tra Gravere e Susa, a quota 1200 metri, quasi di fronte al cantiere della Maddalena che è solo 500 metri più in basso, a quota 700 metri, potrebbe essere strettamente legato al cantiere stesso, così come i picchi di inquinamento registrati a Chiomonte e Graver e. Poiché l’interno della montagna raggiunto dal tunnel geognostico è caldo, da 40 a 55 gradi centigradi, è necessaria una continua ventilazione che spara fuori della galleria un’aria presumibilmente inquinata e più calda dell’ambiente circostante. Potrebbe essere questo l’inquinamento che, un anno e mezzo fa, ha richiesto l’utilizzo di un robot analizzatore semovente chiamato Alex, di cui non sono mai stati forniti i risultati».

 

Da un punto di vista scientifico il fenomeno, spiega Cavargna, potrebbe configurarsi con le seguenti modalità: «L’aria che fuoriesce dal tunnel tende a salire finché raggiunge lo strato di “inversione termica” che oscilla dai mille metri di quota a qualcosa di più, a seconda della quota relativa sul proprio fondovalle, e che si può identificare con il “mare di nebbie” che in certe circostanze, guardando dalla montagna, si vede coprire il fondo delle valli. Questo fenomeno è dovuto al fatto che l’aria si raffredda e si riscalda più lentamente del suolo. Di notte il suolo freddo raffredda l’aria che le è più vicina e, con l’aria più fredda in basso, la situazione è stabile. Ma di giorno il suolo si riscalda più velocemente e riscalda l’aria con cui è in contatto più dell’altra. Quest’aria più calda sale attraverso quella soprastante più fredda sino a che diventa essa stessa fredda e non sale più. Questo punto è quello di “inversione termica”, da cui l’aria non può più diffondersi e gli inquinanti che trasporta non possono più diluirsi. Nelle valli questa situazione di blocco è accentuata dal contenimento effettuato dai due versanti e dallo spartiacque, che le fanno diventare come un bacino chiuso. Ed è per questo motivo che qui gli inquinamenti sono più pericolosi che in pianura».

 

Venendo al caso specifico di Madonna della Losa sulla montagna di Gravere, «una più accentuata deposizione di Pfas in una fascia intorno ai 1200 metri sarebbe perfettamente plausibile, senza dimenticare che è tutta l’aria sottostante che, giorno su giorno, a seconda delle condizioni del tempo, li accumula. L’interrogativo sul perché Giaglione sembri essere stato risparmiato, o quasi, è legato al fatto che ha un versante in pieno sole: in questo caso l’aria si riscalda fortemente, entra in turbolenza e non si stratifica. Il caso di Salbertrand ed Oulx potrebbe essere invece spiegato con il fatto che il fenomeno di “inversione termica” è più stabile, con le brezze notturne che scendono dai monti e trasportano lentamente un grande fiume d’aria fredda. Viceversa le brezze di pianura si muovono più velocemente e con una turbolenza che spinge a diffondere gli inquinanti. In questo caso tendono a salvare chi è a monte del punto di emissione, ma peggiorano le sue condizioni se, invece di molecole di inquinanti, si tratta di micropolveri Pm10 e Pm2,5.

 

Per il caso di Bardonecchia è prematuro fare delle ipotesi, ma non si può dimenticare che anche lì è stato scavato recentemente un tunnel per la seconda canna del traforo autostradale. Altri livelli meno gravi riscontrati nel Torinese si perdono negli inquinamenti industriali». Il grande interrogativo, conclude Cavargna nel suo ragionamento, «è ora da quanto tempo è iniziata la situazione di inquinamento che vediamo ora. Essendo già percolati attraverso il terreno e finiti nelle falde, per quanto si tratti di sorgenti piuttosto superficiali, bisognerebbe credere che possa trattarsi della venuta alla luce di Pfas emessi sette-otto anni fa, quando fervevano i lavori».

 

Telt, da noi sollecitata per una replica alle ipotesi di Cavargna, al momento non ha ancora rilasciato dichiarazioni.