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“Ingiustizia è fatta: lo Stato ci ha detto che non potrà mai giudicare se stesso”

ANTONIO INGROIA - Ex pm Palermo. “Dal Palazzaccio segnale chiaro: fate i processi che volete, tanto l’esito lo decidiamo noi”

 

di Giuseppe Lo Bianco da Il Fatto Quotidiano del 29-04-2023

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2023/04/29/ingiustizia-e-fatta-lo-stato-ci-ha-detto-che-non-potra-mai-giudicare-se-stesso/7145636/

 

“La sentenza? Mi sembra più politica che giuridica: ricordo che la Cassazione non è soltanto il luogo di definizione giuridica dei processi, ma anche quello di indirizzo di politica giudiziaria. Dalla Cassazione arriva il segnale che lo Stato non può processare se stesso’’. Cita Sciascia e la frase a lui attribuita per commentare a caldo lo scarno dispositivo della Suprema Corte che chiude la stagione giudiziaria della trattativa Stato-mafia. Considerato il “padre” del processo che ha condotto in aula a deporre un Presidente della Repubblica in carica, che ha portato a galla la memoria a orologeria di numerosi esponenti politici di vertice e ha provocato un conflitto di attribuzione risolto dalla Consulta per l’utilizzo di alcune intercettazioni tra l’ex capo dello Stato Giorgio Napolitano e il ministro Nicola Mancino, l’ex procuratore aggiunto di Palermo, oggi avvocato, Antonio Ingroia, è l’unico tra i protagonisti dell’accusa a commentare la sentenza.

 

Perché politica, avvocato Ingroia?

Perché dal “Palazzaccio” di piazza Cavour arriva un segnale chiaro ai magistrati: fate tutti i processi che volete, qui l’esito lo decidiamo noi.

 

Dalle poche righe del dispositivo non sembra che l’esistenza della trattativa sia stata cancellata.

Direi di no, da quelle righe si evince che il fatto c’è. E il fatto è la minaccia, derubricata a tentata per i mafiosi, e conseguentemente prescritta, con una sorta di perdonismo: gli esponenti dello Stato non sono stati assolti perché il fatto non sussiste, ma per non averlo commesso. Anche se il dispositivo appare contraddittorio: pur non condividendo la sentenza di appello, riconosco che aveva una sua coerenza logica. Qui mi sfugge un po’.

 

La Cassazione dice che gli ufficiali del Ros con quella trattativa non c’entrano nulla.

Gli osanna mediatici agli imputati sono comprensibili perché il verdetto è quello definitivo, ma che abbiano trattato solo i mafiosi è impossibile. Resta aperta la questione di chi ha portato l’ambasciata: ci sono altri responsabili? Leggeremo le motivazioni e mi auguro che arrivino indicazioni utili a fare luce su quella stagione di sangue.

 

Pensa che la Cassazione chiarirà questo aspetto?

Leggeremo in questi giorni ogni sorta di disquisizione giuridica, ma un fatto è certo: i supremi giudici non potevano non ammettere che la minaccia c’è stata. Temo però che nelle motivazioni la Suprema Corte non risponderà su questo terreno: in questo processo non si valutano le singole infedeltà ma lo Stato attraverso i suoi ambasciatori. E lo Stato dice che non vanno processati. Restano intatte tutte le considerazioni legate al piano storico, etico, morale di una stagione di sangue ancora oscura che ha visto tra i protagonisti complicità interne agli apparati istituzionali.

 

Fiammetta Borsellino ha parlato di “carriere costruite immeritatamente” su processi rivelatisi fallimentari.

Direi che le carriere sono quelle non fatte: io sono stato costretto a lasciare la magistratura, Di Matteo è stato esautorato dal sistema Palamara e costretto ad andare via dalla Dna. Il tutto di fronte a imputati incoronati come vittime di giustizia.

 

La sentenza ha ridato fiato a chi l’ha accusata di elaborare teoremi.

Nessun teorema, ma una serie di acquisizioni processuali compiute nell’arco di decenni e tuttora sviluppate da altre procure italiane. A quei magistrati dico di non lasciarsi distrarre da questa sentenza: la minaccia è stata eseguita con la complicità di uomini dello Stato.

 

Considera la sentenza una “pietra tombale’’ su una fase investigativa carica di attese per illuminare gli anfratti più bui delle collusioni, anche istituzionali, di quella stagione di passaggio istituzionale del ’92-94?

Sono convinto che con questo verdetto ingiustizia sia stata fatta, ma sono consapevole che l’impegno dei magistrati continua e che le punte più avanzate della ricerca della verità su quella stagione ancora oscura sono le procure di Firenze e Reggio Calabria.