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Venerdì si è tenuta la prima udienza per Marco, il lupo cattivo che ha apostrofato l'uomo in divisa con la scandalosa parola di "pecorella".
Riportiamo il report dell'udienza, consideratela come la prima parte dell'epilogo del libro "Nemico Pubblico".
Buona lettura.

Venerdì 29 novembre 2013 si è tenuta la prima udienza del processo a carico di Marco. L'accusa è di oltraggio a pubblico ufficiale per aver leso l’onore e il prestigio del brigadiere Fadda Stefano e del suo capitano Macrì Alessandro.
L'udienza fissata per le ore 9 viene poi fatta slittare a mezzogiorno e mezza.

Prima della nostra si è tenuta l’udienza per un mega processo che vede coinvolte centinaia di piccole, medie e grandi aziende del Piemonte, le quali in pochi anni hanno derubato all’Unione Europea centinaia di migliaia di euro, tramite falsi preventivi di spesa per fantomatici siti internet o certificazioni ISO 9001; intascavano le sovvenzioni tramite FIN Piemonte che sembra non essersi mai accorta di nulla.

Inchiesta chiusa ad agosto 2011 e rimasta sepolta negli archivi della procura sino a quest’anno rischiando di mandare in prescrizione la quasi totalità degli imputati.

Mentre per condannare un no tav che ha dato della “pecorella” ad un carabiniere la procura non ha perso un secondo, al contrario son dovuti passare due anni prima che un giudice si prendesse la briga di verificare una truffa alla collettività per almeno 1,5 milioni di euro.

A frequentare le aule di giustizia si toccano con mano le storture e le contraddizioni di un sistema che si autorappresenta come giusto ma che in realtà spesso viene piegato ai desideri e alle esigenze del ”potere”.

Ma veniamo alla nostra udienza. La PM con solerzia ha introdotto al magistrato le accuse, ha portato in aula un dvd con il video parziale e si è opposta fermamente a tutte le richieste della difesa.

C’è voluto più di un quarto d’ora prima che la PM riuscisse a far visionare il filmato al Giudice, un siparietto esilarante, con il pc della PM che non leggeva il file, poi con il pc del giudice che non erano in grado di usare e che una volta caricato il video era sprovvisto di casse audio; alla fine, grazie alla solerzia di una giornalista, la povera PM è riuscita nell’impresa; era da fotografare l’espressione interdetta del Giudice con le cuffie calate sulla testa come un dj.

La deposizione dei due carabinieri è stata abbastanza onesta, ricostruita a tavolino e ripetuta a pappagallo, ma niente di più.

La PM ci teneva a ribadire che i due erano li per ordini ricevuti, che il loro equipaggiamento era quello “usuale per l’attività di ordine pubblico (scudo, maschera a “travisare” il viso, casco e manganello rientra “nell’usuale” attività dell’ordine pubblico?), che nessuno dei presenti ha in nessun modo reagito alle “provocazioni” e che nessuno dei due ha mai più rivisto Marco o ricevuto scuse.

La ciliegina sulla torta è poi stata Mazzanti, ex comandante dei CC di Susa, ora trasferito a Treviso , che ha dichiarato di essere stato lui a riconosce “il Bruno”, a identificarlo da quel video e a far partire il procedimento a suo carico. Un vero detective!

Gli abbiamo fatto notare come nel suddetto video fosse lo stesso Marco a dare le sue generalità per filo e per segno, con tanto di domicilio!

Comunque un processo ridicolo, in cui l’accusa vorrebbe provare a far condannare Marco doppiamente, sia per l’insulto al carabiniere che al suo capitano, il quale ha dichiarato di essere stato apostrofato con l’ingiurioso epiteto di “bella pecorella”.

Il giudice ha respinto le opposizioni della PM, tranne che per la messa agli atti delle lettere minatorie ricevute. Quindi ad Aprile verranno sentiti tutti i teste a nostro favore e sarà fatto visionare il filmato per intero.

Con Stefano, il carabiniere, Marco ha evitato di parlare, ma dopo la deposizione, passandogli di fianco, il milite gli ha sorriso, come per dire: ”che cazzo ti devo dire… è così”. Entrambi vittime di un sistema che non cerca l’uguaglianza e la giustizia, ma la divisione a tutti i costi tra buoni e cattivi, tra regnanti e sudditi, tra repressori e repressi.

In questa udienza il ruolo peggiore l’hanno avuto, come c'era da aspettarselo, i giornalisti.

Per il processo precedente al nostro, con in aula una cinquantina tra imputati e parti lese, durato più di tre ore, non uno era interessato al dibattimento, mentre al momento del nostro arrivo in aula si contavano 9 giornalisti appostati alle spalle di Marco.

Uno spettacolo pietoso, tutti connessi con le loro redazioni, bava alla bocca e smart-phone tra le zampe.

Un sacco di moine per Marco,piacere sono tizia, piacere sono caio, lavoro per il tal giornale posso mica chiederti...una foto, una dichiarazione, qualcosa.

Non gli interessa raccontare ciò che vedono, vorrebbero manomettere la realtà per piegarla ai desideri dell'editore, dell'inserzionista; spettacolarizzare tutto, non informare, ma performare; realizzare qualcosa di succulento da portare in redazione. Vittime a loro detta dei superiori, del precariato, ma pronti a tutto per raggiungere la vetta.

Comunque agli sfortunati sciacalli a questo giro poco è valso patire il freddo nell’estenuante attesa di azzannare qualche brandello, il Lupo, volutamente solitario, è tornato nella sua Valle con il manto lucido e a testa alta.

Tra gli sciacalli c’è stato chi ha patito l’inutile attesa e si è lasciato andare a un incontenibile sfogo; la PM, visto che per lei era presto, (peccato che noi fossimo li dalle 8:45), ha richiesto la deposizione di Marco, non prevista, e al legittimo rifiuto suo e dell'avvocato, dal fondo dell’aula tra le file dei giornalisti si è sentito un sommesso e straziato: “Nooo…perché?”...

Prossima udienza 11 aprile

“Questo è quanto.

Ringrazio il mio branco, solidale e complice."