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Torino-Lione: la democrazia blindata della corazzata bipartisan

 

di Livio Pepino* dalla rubrica Opinioni di Luna Nuova del 25-10-2013 – pag. 2

 

Fino a ieri dicevano che il problema non era il movimento No Tav, ma le sue frange estremiste e violente. Fino a ieri. Oggi la maschera è caduta. Con la criminalizzazione politica e mediatica finanche di Stefano Rodotà, con la riesumazione dei reati di opinione, con la perquisizione domiciliare nei confronti di Alberto Perino (leader storico del movimento) tutto è diventato più chiaro. Il nemico da battere è il movimento di opposizione all'alta velocità in val Susa. Ma la percezione della natura dell'operazione in corso comincia - qua e là a farsi strada.
Anche in alcune inchieste televisivo e in alcune decisioni del Tribunale del riesame di Torino.

 

Così la corazzata bipartisan degli sponsor dell'opera - la lobby politico affaristico scoperchiata dall'arresto dell'ex presiden­te Pd della Regione Umbria, Maria Rita Lorenzetti - spara le sue ultime cartucce, mettendo in campo persino - come tutore della legalità (sic!) - l'incredibile Angelino Alfano. Fin qui tutto secondo copione. Ma accade che tra i sostenitori dell'opera si arruolino anche intellettuali come Massimo Cacciari, spintosi ad affermare, in una recente intervista, che il Tav fa schifo, ma lo si deve fare perché così ha deciso la maggioranza. A fronte di suggestioni siffatte, che inquinano il dibattito, è bene ripassare i fondamentali.

 

Identificare tout court la democrazia con le decisioni contingenti della maggioranza è un pericoloso errore. Basti ricordare uno dei padri del pensiero liberale, quell'Alexis de Tocqueville che, nel 1831-32, scriveva: «Quando sento la mano del potere appesantirsi sulla mia fronte non sono maggiormente disposto a infilare la testa sotto il giogo perché un milione di braccia me lo porge. Se in luogo di tutte le varie potenze che impedirono o ritardarono lo slancio della ragione umana, i popoli democratici sostituissero il potere assoluto della maggioranza, il male non avrebbe fatto che cambiare carattere». Il senso è evidente e attuale.

 

Il principio di maggioranza serve per diffondere il governo delle società, sottraendolo all'arbitrio di uno solo o di pochi, ma una scelta ingiusta non cessa di essere tale sol perché adottata dalla maggioranza. Tanto ciò è vero che alcune costituzioni contemporanee prevedono esplicitamente un diritto/dovere di resistenza, sulla scorta dell'articolo 21 del progetto di Costituzione francese del 19 aprile 1946 secondo cui: «Qualora il governo violi la libertà e i diritti garantiti dalla Costituzione, la resistenza, sotto ogni forma, è il più sacro dei diritti e il più imperioso dei doveri». Interessante ricordare che una analoga proposta («Quando i poteri pubblici violano le libertà fondamentali e i diritti garantiti dalla Costituzione, la resistenza all'oppressione è un diritto e un dovere del cittadino») venne formulata alla nostra assemblea costituente dall'onorevole Dossetti e non fu approvata solo perché ritenuta implicita nel sistema...

 

La democrazia non coincide con il principio di maggioranza, che pure ne è uno dei cardini. Non per caso l'articolo 1 della nostra Carta fondamentale prevede che la sovranità del popolo si «esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione». E tra i limiti invalicabili dell'attività legislativa e dell'azione politica ci sono quelli posti dagli articoli 9 e 32 a tutela dell'ambiente e della salute: i diritti previsti da tali norme hanno carattere assoluto, a differenza, per esempio, del diritto di iniziativa economica che - secondo l'articolo 41 - è bensì «libera» ma «non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana».

 

In questo contesto il confronto con le popolazioni e le istituzioni locali (mai realizzato in val Susa, dopo il timido tentativo della fase iniziale dell'Osservatorio, presto superato dalla pregiudiziale secondo cui «di tutto si può discutere ma non della necessità che l'opera sia fatta»...) non è un lusso o un di più, ma un passaggio ineludibile in un sistema democratico e continuare a ignorarlo realizza non solo una rottura sempre più difficile da sanare con la valle ma anche una ferita profonda alla democrazia dell'intero Paese.

 

Qualche anno fa - nel volumetto "Imparare democrazia" (Einaudi, Torino, 2007) - Gustavo Zagrebelsky ha scritto parole su cui farebbero bene a riflettere i troppi"maestri di democrazia" che pontificano sul Tav: «La ragione d'essere e di operare delle minoranze è la sfida alla bontà della deliberazione presa, nell'aspettativa di prenderne un'altra diversa. Per questo, ogni deliberazione in cui una maggioranza sopravanza numericamente una minoranza non è una vittoria della prima e una sconfitta della seconda. È invece una provvisoria prevalenza che assegna un duplice onere: alla maggioranza di dimostrare poi, nel tempo a venire, la validità della sua decisione; alla minoranza, di insistere per far valere ragioni migliori. Ond'è che nessuna votazione, in democrazia (salvo quelle riguardanti le regole costitutive o costituzionali della democrazia stessa) chiude definitivamente una partita. Entrambe attendono e, al tempo stesso, precostituiscono il terreno per la sfida di ritorno tra le buone ragioni che possano essere accampate. La massima: vox populi, vox dei è soltanto la legittimazione della violenza che i più esercitano sui meno numerosi. Essa solo apparentemente è democratica, poiché nega la libertà di chi è minoranza, la cui opinione, per opposizione, potrebbe dirsi vox diaboli e dunque meritevole di essere schiacciata per non risollevarsi più. Questa sarebbe semmai democrazia assolutistica o terroristica, non democrazia basata sulla libertà di tutti».

 

* Livio Pepino,
già magistrato e presidente di Magistratura democratica, è attualmente direttore della rivista Questione giustizia