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Vent’anni fa la strage di via D’Amelio. Quando la verità?


di Marika Demaria da Narcomafie del 19/07/2012
http://www.narcomafie.it/2012/07/19/ventanni-fa-la-strage-di-via-damelio-a-quando-la-verita/


«Impeachment. Sì, chiedo l’impeachment per il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, perché a mio giudizio si sta frapponendo alla ricerca della verità sulla morte di mio fratello Paolo». Salvatore Borsellino parla di un vero e proprio attentato alla Costituzione, facendo riferimento alla presa di posizione del Capo dello Stato che ha aperto un conflitto contro la procura di Palermo presso la Corte Costituzionale. Il pm Antonio Ingroia e i sostituti Lia Sava, Nino Di Matteo e Guido Palermo hanno infatti predisposto il vaglio di intercettazioni telefoniche intercorse tra Nicola Mancino – all’epoca della strage ministro dell’Interno – e l’allora presidente della Camera dei Deputati Giorgio Napolitano, che rivendica la propria immunità.


Rita Borsellino, sorella del magistrato, ammette di essersi «sentita schiaffeggiata dalle parole del Presidente: non parlo come sorella, ma come comune cittadina che, a distanza di venti anni, chiede di conoscere la verità sulla strage di via D’Amelio». Il procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso ha commentato: «È assodato che il Presidente della Repubblica non possa essere intercettato ma è anche vero che i giudici hanno lavorato in ottemperanza delle leggi. Ora dovrà decidere la Consulta», mentre il ministro Paola Severino ha sentenziato:«È importante mantenere la segretezza delle telefonate del Capo dello Stato».


Oggi l’Italia intera si ferma per commemorare l’eccidio del 19 luglio 1992 nel quale persero la vita il giudice Paolo Borsellino e gli agenti di scorta Agostino Catalano (capo scorta), Claudio Traina, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina ed Emanuela Loi, prima donna poliziotto a cadere in servizio. «Noi però – confessa Rita Borsellino – vogliamo che via D’Amelio sia un luogo dove si possa ricordare la vita. Per questo non rifiutiamo le corone se dovessero arrivare, ma chiediamo che siano collocate altrove. Paolo era un uomo delle istituzioni e asseriva che esse erano sacre e che andavano rispettate, piuttosto sono gli uomini che le rappresentano ad essere discutibili». Salvatore Borsellino fa eco alla sorella e tuona: «Se i politici si presentano devono avere il coraggio di subire anche le eventuali contestazioni rivolte al loro indirizzo. Ma poi, cosa vengono a fare? Controllano che Paolo sia effettivamente morto?».


A distanza di venti anni, la verità è ancora avvolta nella nebbia. L’agenda rossa sulla quale Paolo Borsellino annotava i vari appuntamenti non è mai stata ritrovata, e «su quelle pagine mio fratello aveva anche segnato un appuntamento con il ministro Mancino, ma il politico nega tutto, dice di non ricordare, di sapere a malapena, all’epoca dei fatti, che volto avesse il magistrato antimafia per antonomasia e più esposto ed isolato dopo la strage di Capaci in cui fu ucciso il giudice Falcone», ricorda Salvatore Borsellino. Il quale ieri, mercoledì 18, insieme agli esponenti del Movimento Agende Rosse da lui fondato, ha manifestato davanti al Palazzo di Giustizia di Palermo.


Contestualmente, il procuratore Francesco Messineo dichiarava: «Non mi sento di parlare di presunta trattativa quanto piuttosto di una vera e propria trattativa. Abbiamo infatti impiantato un procedimento che è alla fase dell’avviso di conclusioni indagini e che verosimilmente si evolverà più avanti, basato sull’ipotesi che la trattativa ci sia stata e sia reale. Non concordo quindi con chi parla di presunta trattativa, salvo poi il successivo vaglio processuale».


Il nostro pensiero ad Agostino Catalano, Claudio Traina, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina, Emanuela Loi e Paolo Borsellino, che ricordiamo con una delle sue frasi più significative, pronunciata il 23 giugno 1992 (in occasione del trigesimo di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Vito Schifani, Rocco Di Cillo e Antonio Montinari): “La lotta alla mafia (primo problema da risolvere nella nostra terra, bellissima e disgraziata) non doveva essere soltanto una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale, anche religioso, che coinvolgesse tutti, che tutti abituasse a sentire la bellezza del fresco profumo di libertà che si contrappone al puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità”.