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Luca Abbà: il ritorno in valle, al lavoro, alla lotta...
“Salire sul traliccio? In una situazione simile lo rifarei. Col senno di poi, magari con più attenzione.”
“Queste lotte si vincono tenendo aperti più fronti, in Clarea come nel resto d’Italia”

 

di Marco Giavelli da Luna Nuova del 26/06/2012 – pag. 3

 

Domenica Luca Abbà ha fatto una "toccata e fuga" al campeggio No Tav di Chiomonte. È stato come un secondo ritorno a casa: un' oretta di abbracci, strette di mano, racconti e im­pressioni che si intrecciano con i compagni di sempre. E il segno che Luca è tornato e torne­rà in mezzo alla sua gente. A Chiomonte non ci era ancora andato da quando, lunedì scorso, è uscito dall'ospedale dopo la terribile caduta dal traliccio del 27 febbraio e la folgorazione che gli ha procurato le conseguenze più gravi. Ma domenica non ha resisti­to alla tentazione. In fin dei conti può permetterselo. Cammina con stampelle, a volte usa deambulatore o carrozzina, ma cammina con le sue gambe e solo quattro mesi fa in pochi ci avrebbero scommesso. «Devo fare i conti con i limiti del mio corpo, ma sto abbastanza bene se penso a cosa mi è successo. Rin­grazio i medici e il personale del Cto, che mi hanno assistito in modo serio e professionale. Ringrazio le persone che in valle e in tutta Italia mi hanno dato un 'enorme dimostrazione di solidarietà. Ma soprattutto ringrazio la mia compagna Emanuela per quanto mi è stata vicino

 

Dopo una settimana di coma farmacologico, quasi due mesi tra rianimazione e terapia intensiva e ben 109 giorni d'ospedale, ora lo aspetta un lungo periodo di fisioterapia, almeno due-tre sedute la settimana. «Fra un anno capire­mo quali segni mi lascerà questo incidente. Il recupero completo, o quasi, è possibile, ma non è scon­tato e ora è comunque impossibile da prevedere. Le funzioni vitali minime mi sono state garantite ed è già una gran cosa». Qual è il suo ultimo ricordo di quella mattina? «Non ricordo il volto del poliziotto che mi inseguiva sul traliccio, ma la scena di lui che si arrampica mentre io ero già quasi in punta. Poi ho preso la scossa che mi ha spinto a terra: da lì in avanti ho il vuoto. Una scossa da 50mila volt, me l'ha confermato un dipendente Aem. Dai video ho ricostruito tutta la sequenza: la cosa che più mi ha impressionato, è vedere ruspe ed escavatori che continuano a lavo­rare nonostante a terra ci sia una persona moribonda».

 

Com'è nata l'idea di arrampicar­si sul traliccio? «Mi sentivo molto sicuro e determinato, salire su un traliccio non è poi così difficile. E stato tutto improvvisato: la baita e la conca del Clarea erano circon­date dai celerini, i 15 compagni che avevano passato la notte lì erano già in stato di fermo. Io sono stato il primo e l'unico ad arrivare da fuori: sono riuscito a non farmi vedere e, stando così le cose, ho deciso di creare un diversivo per rendere più difficili le operazioni». Lo rifarebbe? «In una situazione così lo rifarei. Col senno di poi, ma­gari lo farei con più attenzione. Ma più ci penso, più mi convinco che non c'era nessun motivo perché un poliziotto mi inseguisse: non stavo commettendo reati, non impedivo nulla, ero pure fuori dal perimetro da recintare. La mia salita in cima non è stata preceduta da trattative o interlocuzioni: mi sono spinto più in alto solo perché lui continuava a salire, senza calcolare che il peri­colo di folgorazione esiste già solo avvicinandosi all'alta tensione, anche senza toccare i cavi».

 

Molti hanno visto in questo suo gesto estremo l'amore per la sua valle, per la terra, lei che nella vita è titolare di un'azienda agricola... «Azienda è un termine che non mi piace, preferisco parlare di attività agricola. Sono nato e vissuto per 23 anni a Torino, poi nel '99 ho deciso dì tornare al Cels, di cui la mia famiglia è originaria. Per me la terra è sorgente di vita e ho scelto di tornare al Cels proprio per vivere in armonia con la terra. La mia coscienza ambientalista si è sviluppata in modo automatico. Da subito mi sono avvicinato alla causa No Tav, ma è in seguito alla morte di Sole e Baleno che ho deciso che avrei portato fino in fondo questa lotta».

 

Per qualcuno lei è un eroe, altri hanno speculato politicamente sul suo incidente definendola "un cretinetti" o approfittandone per mettere in cattiva luce la sua militanza anarchica: lei come si sente dopo questa vicenda? «Non ho vissuto la canea mediatica del dopo-incidente, ma ora non mi fa chissà quale effetto. Sto vivendo una dimensione di notorietà non cercata, ma ciò che mi sta a cuore è tornare ad una vita semplice e tranquilla, senza etichette, per proseguire il mio cammino verso la libertà fatto di momenti di lotta, di condivisione e di comunità. Sono invece contento che per lo meno questa vicenda abbia avuto qualche effetto positivo per il movimento, che si è guadagnato la ribalta nazionale riuscendo a farsi conside­rare in modo diverso da opinionisti e persone che prima sapevano poco della causa No Tav».

 

Cosa ne pensa di Stefano Esposito? Lei è uno dei bersagli preferiti del deputato Pd... «Sfiora il ridi­colo. Si ostina a tenere posizioni e modalità assurde, con un livore che rasenta la malafede». E di Antonio Ferrentino? «Non mi ha mai convin­to del tutto nemmeno ai tempi del 2005. Da buon politico qual è, ha fiutato odore di potere e agisce di conseguenza cambiando posizione a seconda di ciò che gli fa comodo». Sandro Plano? «Da buon democri­stiano, definizione che lui stesso rivendica per sé, cerca sempre una linea d'equilibrio: le posizioni mai del tutto nette non mi piacciono a prescindere dal personag­gio, ma gli riconosco un certo coraggio».

 

Veniamo al movimento No Tav. Uno dei suoi punti di forza è da sempre la ca­pacità di mettere insieme anime, storie, inclinazioni spesso agli antipodi. C'è però chi lo vede cambiato rispetto al 2005. Secondo lei esiste il rischio che la lotta si spinga ad un punto tale per cui le diverse anime difficilmente riusciranno ancora a coesistere? «Ogni tanto questo rischio si ma­nifesta e non da tutti viene vissuto bene, ma col tempo siamo sempre riusciti a recuperare malumori e differenze. L'intelligenza collettiva farà sì che non si arrivi mai ad un punto di rottura. Ogni componente, suo malgrado, sa che deve mettere da parte alcune modalità a lei più congeniali per mantenere il movi­mento unito e compatto. Da fuori tentano di dividerci esasperando il clima, ma i 20 anni di lotta in­sieme hanno insegnato molto a ciascuno di noi: per chi ha voluto starci, questo è motivo di grande soddisfazione».

 

Quali prospettive vede ora per la lotta No Tav? Per vincere non vi resta che arriva­re allo scontro frontale, o vede ancora una via d'uscita poli­tica? Magari con un exploit di Grillo alle politiche del 2013? «Queste lotte si vincono tenendo aperti più fronti. Non dobbiamo mollare in Clarea e a Chiomonte, il campeggio può dare un bel colpo fiaccando la resistenza dell'appa­rato militare: arriveranno in mi­gliaia da tutta Italia ed è importante approfittare di questo per scegliere le iniziative giuste, investendo le energie in azioni di disturbo e pressione capaci di far decollare l'attenzione mediatica, oltre che in Chiomonte. Magari non basterà, ma mettendo insieme tutti questi elementi, compresa l'iniziativa politica, si potranno aprire degli spazi importanti che un giorno potrebbero risultare decisivi».

 

Se le elezioni politiche fossero domani, lei chi voterebbe? «È da anni che non vado più a votare, credo che il cambiamento non passi da un'urna elettorale. Le cose si possono cambiare anche nel quo­tidiano, ricreando quelle forme co­munitarie attraverso cui riprendere in mano la gestione del presente: la delega attraverso il voto ci mette al riparo da tante responsabilità, eludendo l'impegno a cui ciascuno di noi è chiamato». Ma fino a che punto è lecito che si spinga una lotta come quella contro il Tav? «Io non faccio distinzioni tra vita privata e impegno di militanza, per me sono parte della vita allo stesso modo. La vita va vissuta completamente per cui non vedo limiti, non faccio calcoli e a seconda dell'obiettivo mi impegno in un certo modo. Per questo non mi sono mai tirato indietro, compiendo anche scelte coraggiose. Arrivati a questo punto non è più solo una lotta contro un treno, ma è un qualcosa di ben più grande per il bene comune».